Quante volte dopo uno spavento che abbiamo procurato ad una persona a noi cara o dopo attimi di forte apprensione e sgomento dei quali noi siamo i diretti responsabili ci siamo sentiti urlare frasi del tipo: “Smettila o prima o poi mi farai morire di crepacuore“? Secondo i ricercatori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di crepacuore si può davvero morire, o comunque si muore in una percentuale molto più elevata di quello che si poteva ipotizzare.
Un attacco di crepacuore, che gli esperti definiscono sindrome di takotsubo o cardiomiopatia da stress, può mietere vittime al pari di un normale infarto. Il nome singolare attribuito alla sindrome è giustificato dall’alterazione di forma che assume il nostro cuore a seguito dello spavento o della crisi sofferta: il cuore assume le sembianze di un palloncino, molto simile al vaso (tsubo) che utilizzano i giapponesi per raccogliere i polipi (tako).
La ricerca che ha coinvolto 1750 pazienti ha dimostrato che la sindrome colpisce in maggior misura le donne (in un rapporto di 9:1) e prevalentemente si presenta dopo uno stress emotivo, come ad esempio un lutto (nel 30% dei casi), o anche dopo uno stress fisico come un intervento chirurgico (nel 36%). Da associare ad un attacco di crepacuore è, spesso, la presenza di disturbi psichici già rilevati nel soggetto come una malattia neurologica o anomalie psicologiche come il soffrire di attacchi di depressione.
Lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine ha confermato delle conseguenze di salute per la sindrome da crepacuore molto simili a quelle di pazienti che hanno subito un infarto, con una possibilità di morte nel 5% dei casi registrati. Gli stessi sintomi dell’attacco di takotsubo, infatti, si manifestano in maniera conforme a quelli di un infarto, con forte dolore al petto e sensazione di affanno improvviso.