Secondo Allevi, i giovani (i bambini, per la precisione) si annoiano ascoltando Beethoven perché non ha ritmo. Molto meglio Jovanotti (che poi, porello Lorenzo, tirato in mezzo a tutta ‘sta caciara).
Ora. Tralasciamo il fatto che il mio gioco preferito per pc, da bimba, fosse basato sulla Quinta di Beethoven (e, dannazione, non ricordo nemmeno il titolo: era un insieme di giochini di logica e memoria volti a insegnare ai bambini la Quinta. Alla fine arrivavi a conoscere l’intera Sinfonia, strumenti e disposizione dell’Orchestra compresi): la mia anormalità è cosa risaputa, quindi non faccio testo. E che in casa mia si ascolti musica classica praticamente sempre e da sempre ha giocato un ruolo significativo (sono cresciuta a pane-Beethoven e Bach, mio padre tifava Beethoven, mia madre Bach, mio zio è diventato sordo a furia di ascoltare l’Eroica a tutto volume).
Certo, non sono un’esperta. Non ho studiato al Conservatorio (ma ho fatto anch’io i miei anni in un’Accademia di musica rispettabile, via) tuttavia, se potessero parlare di musica solo gli esperti, allora solo chi studia Lettere dovrebbe poter recensire un libro e io dovrei stare qui a parlarvi tutto il santo giorno solo ed esclusivamente di leggi e cavilli. Sai che palle (perdonate il francesismo). Non potrei nemmeno scrivere di letteratura su Finzioni, per dire.
Non sono una fan dei tuttologi, ma sono fermamente convinta che l’essere umano possa (ed essendo la vita “una sola” debba, in un certo senso) conoscere quanto più può. Concentrandosi su alcuni argomenti e tralasciandone altri, certo, anche perché non abbiamo tutti il cervello di Leonardo da Vinci. Ma tant’è. Nel mio piccolo, ci sono poche materie di cui mi occupo con costanza e che conosco un pochino (ma potrei conoscere molto di più, visto che di imparare non si smette mai): la giurisprudenza (una parte), la letteratura (una parte), il mondo dei canidi e degli akita, la ricetta perfetta per cucinare un risotto piselli e prosciutto crudo per il proprio ragazzo, come rompere ogni volta un pezzetto diverso della doccia del suddetto ragazzo e la musica classica. Beethoven, in particolare. Sto tentando, poi, di avvicinarmi al mondo della lirica.
Quindi a chi mi dice: «non hai studiato al Conservatorio, non puoi parlare a ragion veduta!» rispondo: «col cazzo!» (ri-scusate il francesismo). Se vado dal macellaio e quello mi taglia la carne di traverso col risultato che, una volta cotta, diventa ‘na ciabatta, gli dico che ha fatto una stupidata. Anche se non sono una macellaia (ok, non c’entra nulla con l’arte e la musica, ma la sostanza è questa).
Comunque, veniamo al punto.
Fatemi dire, anzitutto, che trovo molto triste che un’artista ritenga che, per tornare a far parlare di sé, sia necessario “spararla grossa”, possibilmente fuori dal coro. È un atteggiamento paragonabile, se vogliamo, alle uscite demenziali che hanno caratterizzato la politica di questi ultimi giorni (ogni riferimento a Calderoli non è puramente casuale).
Non tolgo nulla ad Allevi, anzi: che piaccia o meno, ha il gran merito di aver avvicinato al mondo della musica classica molti giovani (e non). Senza contare che è legato a un periodo molto felice della mia vita, alcuni pezzi in particolare (Vento d’europa e Il Bacio anzitutto). Conosco molto bene la sua opera. Mi piace come compositore di “musica leggera” (passatemi la definizione) e in quanto artista che ha voluto raggiungere col pianoforte una fetta di pubblico prima lontana.
Al tempo stesso, però, lo detesto quando disprezza la Musica Classica e quando si atteggia a direttore d’orchestra (ho ancora davanti agli occhi la triste scena di lui che prova — e non riesce — a dirigere il concerto di Natale al Senato). Mi piacciono molto quasi tutte le sue composizioni per pianoforte, ma quelle per (piano e) orchestra… brrrr. Penso di aver ascoltato Evolution (il cd) due volte (e solo perché, prima di giudicare ascolto sempre almeno due volte) per poi mollarlo sul fondo di un cassetto. E ci provo a dimenticarlo, ma penso mi servirebbe un po’ di psicanalisi.
Insomma, Allevi per me è un po’ come la Stephenie Meyer della musica: scribacchia, non eccelle, ha un grande seguito non ingiustificato, la sua trama è per gran parte inconsistente, eppure raggiunge il suo scopo se letta (ascoltato, in questo caso) sotto l’ombrellone, per rilassarsi con una cosetta leggera.
Ora, venendo a Beethoven.
A prescindere dal significato che Allevi avrà voluto dare alla parola “ritmo” (accezione strettamente tecnica o “ritmo” nel senso di “ballabile”?), per spiegare perché Beethoven sia passato alla storia grazie al ritmo, basterebbero tre parole:
Breve-Breve-Lunga
Ma vogliamo fare di più? Facciamolo.
O meglio, ascoltiamo di più, ché tanto le parole non servono.
L’Allegretto della Settima (conosciuto da quasi tutti come la colonna sonora di Edward Mani di Forbice). Per inciso, la Settima (e, in particolare, il secondo movimento) è la mia Sinfonia preferita. Immaginate di essere a una festa. Avete il cuore in tumulto per qualcosa che vi turba. Avete bisogno di aria, quindi uscite su un grande terrazzo illuminato solo dal chiar di luna. Siete soli. Dietro di voi, la musica spensierata continua a intrattenere gli ospiti. Dentro di voi, si agitano pensieri cupi. Ma poi Qualcuno vi raggiunge, la musica della sala e quella del vostro cuore si uniscono. Torna il sereno. O forse no. Comunque, se non ricordo male, per il ritmo di questo secondo movimento Beethoven ha scomodato la metrica degli antichi greci:
Lo Scherzo della Nona:
Osiamo di più. Sonata “Al chiaro di luna”, terzo movimento:
Torniamo alle Sinfonie. L’Eroica:
Ma arriviamo, rapidamente, al gran finale: la Sonata n. 32, op. 111. Ascoltate questo pezzetto:
Cosa vi ricorda? Ecco. Jazz, esatto.
Risale all’ultimo periodo e, quando l’ha composta, Beethoven era completamente sordo. Ci sono lunghiiiiiissime e complicatiiiiiissime discussioni che riguardano quest’opera, basta un giretto in rete per farvi un’idea (secondo alcuni Beethoven non sarebbe l’autore della n. 32, tanto per dirne una). È innegabile, comunque, che il ritmo scelto dal compositore fosse, per l’epoca, rivoluzionario. Beethoven sperimentava, anche nel ritmo. Un ritmo che diventava solo suo, oserei dire proverbiale (basti pensare alla Quinta).
E allora sì, Beethoven aveva ritmo ed è passato alla storia (anche) per il suo ritmo.
E, a questo punto, viene da chiedersi chi tra i due sia il sordo. Beethoven, che componeva la Nona e si rammaricava di non poterla ascoltare, o Allevi, che per tornare a far parlare di sé deve spararle grosse?
Ai posteri e alla storia, l’ardua sentenza.