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Allineati e coperti.

Creato il 02 gennaio 2012 da Nazionalpopolare70 @nazionalpop70
Il presidente del consiglio Mario Monti ha tenuto la consueta conferenza stampa di fine anno nell'ambito della quale si prova a fare un bilancio della attività di governo. Più che entrare nel merito di ciò che ha detto (o non detto) appare interessante soffermarsi - ancora una volta - sull'atteggiamento di ossequio tenuto dalla maggioranza dei giornalisti presenti in sala (specchio del generale approccio deciso dai più influenti media nazionali). Sappiamo benissimo come il problema del cosiddetto spread sia stato tutt'altro che risolto. Nonostante ciò, quello che era (ed oggettivamente è) un grosso handicap per la tenuta dei nostri conti pubblici sembra - col nuovo governo - non esserci più. Se ieri gli ansiogeni aggiornamenti sul picco del differenziale tra bund tedeschi e titoli di stato italiani campeggiavano sulle prime pagine dei giornali oggi tendono ad essere collocati in posizioni assai più defilate.
Lo stesso Monti ha spiegato come uno spread a 520 sia esagerato rispetto ad una economia che - pur con tutte le vulnerabilità del momento - continua ad essere la terza dell'area dell'euro. Una tesi condivisibile, anche se poi lo stesso professore ha quasi voluto far intendere che a seguito dei suoi provvedimenti lo stesso differenziale è sceso a livelli prossimi ai 400 punti. Le due cose sembrano essere un po' in contraddizione, dato che o si è disposti a sostenere che lo spread non è intimamente legato alle dinamiche di governo o si è disposti a sostenere il contrario. Dire che l'esecutivo non ha colpe quando il numerino sale e sostenere l'opposto quando scende non appare particolarmente coerente.
Ciò che più continua a colpire è comunque l'atteggiamento riservato dalla gran parte dei media italiani al nuovo governo. Una propaganda - fatta di vere e proprie parole d'ordine - che fa riflettere sullo stato della nostra informazione. Evidentemente il problema va ben oltre il noto conflitto di interessi dell'ex presidente del consiglio Berlusconi (che pure sostiene Monti assieme al Pd e al cosiddetto terzo polo). Le parole sobrietà, rigore, crescita non appaiono poi tanto lontane da quelle pronunciate in altri difficili contesti della nostra storia.
Ovviamente sappiamo bene quanto siano fallaci i mezzi di comunicazione italiani circa la rappresentazione della realtà. Ne abbiamo avuto un saggio quando la stragrande maggioranza di essi sosteneva che la cacciata dell'ex premier avrebbe immediatamente portato ad un abbattimento del famigerato spread nell'ordine di una cifra vicina ai 100 punti. La cosa inquietante è che anche dei più o meno celebri economisti sostenevano questo; non parliamo dunque dei soliti tromboni della politica bensì di professori universitari sui quali a questo punto è lecito avere qualche dubbio considerando che esercitano una attività didattica.
Un'altra puntata di questa tragica pantomima è quella della cosiddetta fase due, ovvero la scossa che - secondo la propaganda - dovrebbe portare alla ripresa economica dell'Italia. Ora, sostenere che in un anno come il 2012 possa esserci una qualsivoglia ripresa economica è del tutto fuorviante: anzi è una semplice fola, dato che siamo già in recessione e lo saremo ancora di più nei prossimi mesi. Nonostante tutto, sfidando la logica ed il buon senso generico, i mezzi di propaganda continuano a insistere su una ripresa che l'anno prossimo non potrà esserci.
Ultimamente sono poi comprarsi alcuni divertenti articoli che inneggiavano all'orgoglio nazionale e alla necessità di non farsi prendere dallo sconforto (abbasso "i menagrami e gli sterili pessimismi"). Peccato solo che in almeno 20 anni di retorica europeista si sia cercato pervicacemente di sostenere l'inconsistenza, l'inutilità, degli stati nazionali di fronte alla nuova terra promessa europea. Ed è inoltre onesto ricordare come l'ex premier Berlusconi sia stato sbeffeggiato quando si azzardò a parlare dell'elemento psicologico della crisi.
Insomma, l'impressione è che la cosiddetta classe dirigente non sappia più che pesci pigliare. Si aggrappa a tutto pur di giustificare i sacrifici - sempre più grandi - che si appresta a chiedere ai cittadini per rimediare a scelte sbagliate (in alcuni casi criminali) di cui essa stessa è responsabile. Stiamo in pratica chiedendo a chi ci ha portato a questo punto di risolvere il problema, evitando di prenderci alcuna responsabilità. Perchè alla fine questa è l'impressione: che i cittadini non abbiano gran voglia di esercitare un ruolo attivo, al di là di alcune strumentalizzate campagne ad personam.
Un ultimo pensiero è da rivolgere a tutti quei contestatori di professione particolarmente attivi nella cacciata del passato "tiranno". Dove sono finiti? Dov'è finito il cosiddetto popolo viola, i nostri indignados all'amatriciana, i fans di Grillo? Altrove i movimenti di protesta continuano ad essere vigili, indipendentemente dai cambi di governo, proprio perchè si capisce che la politica è al massimo il paravento di poteri che hanno una importanza sempre più decisiva. Da noi invece, risolto il problema del puzzone, è tutto scomparso. Il dissenso non esiste o se esiste viene abilmente incanalato in movimenti come quelli sopracitati che non portano a nulla se non a individuare simboli contro cui scagliare la rabbia e le frustrazioni di centinaia di migliaia di persone.
In realtà il cambiamento deve essere condotto a livello di sistema, rivedendo, ridiscutendo, scelte per le quali i cittadini non sono stati resi partecipi. Nessun dibattito è mai stato fatto in Italia circa gli effetti dell'introduzione della moneta unica. Nessun dibattito è stato fatto sui trattati (come quello di Lisbona) che il parlamento italiano ha ratificato. Nessun dibattito è dunque stato compiuto circa il processo di accentramento europeo, la perdita di sovranità monetaria, politica ed economica. Nessun dibattito è mai stato fatto (fino a 12 mesi fa) sulla possibilità di ridurre il fardello di un enorme debito pubblico. Ed ovviamente alcun dibattito si sta facendo sulla prossima cospicua cessione di sovranità all'Europa (il cosiddetto fiscal compact) che sarà firmata da un governo non voluto dagli elettori (pregasi - a tal uopo - di astenersi dall'eccepire la correttezza formale dell'operazione che ha portato al varo del nuovo esecutivo).

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