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Centinaia di migliaia di tonnellate contaminate da aflatossine. Non si sa dove sono né come smaltirle. Il Pd chiede spiegazioni, l’assessore nicchia
Sono potenzialmente pericolose, per gli animali e per gli uomini. E non si sa bene che effetto potrebbero avere se ‘bruciate’ nei biodigestori per la produzione di energie alternative. Sono le aflatossine sviluppatesi nel mais da granella a seguito della siccità del 2012. Centinaia di migliaia di tonnellate di prodotto solo in Lombardia, che non si sa dove è stoccato, ma nemmeno, di preciso, che fine ha fatto o potrebbe fare. E i rischi, appunto, non mancano.
Le conseguenze che questo mais contaminato potrebbero portare nell’alimentazione umana e animale o nell’eventuale uso a scopo energetico, sono state al centro di un’interpellanza presentata dal Gruppo regionale del Pd, primo firmatario il consigliere Agostino Alloni, cui ha dato risposta, in commissione Agricoltura del consiglio regionale, l’assessore competente Gianni Fava.
“Il contenuto della mia interpellanza riguardava un tema caldo come quello dell’alimentazione che è strettamente connesso a un discorso di salute – fa presente Alloni -. Le aflatossine sono micotossine prodotte in particolari condizioni ambientali dalle muffe e rendono parte della produzione di mais, in particolare in Lombardia, inadatta all’alimentazione umana e animale. Sull’uomo hanno addirittura un effetto tossico”.
Il mais contaminato potrebbe essere impiegato per gli usi alternativi, ovvero la produzione di biogas, bioplastiche ed energia in generale. Ma anche in questo caso, precisa il consigliere Pd, “va accertato l’effettivo degrado delle aflatossine durante il processo di digestione anaerobica”.
Le risposte dell’assessore Fava in proposito non hanno soddisfatto Alloni “perché non è entrato realmente nei termini della questione e non c’è stato verso di avere dei dati precisi”. Allo stato attuale, aggiunge il consigliere Pd, rimangono aperti i temi principali della vicenda aflatossine, ovvero “le quantità di mais contaminato che ancora non si conoscono e che l’assessore non ha ci ha fatto sapere. Né si capisce quante tonnellate di queste siano state trattate. Ma non si sa nemmeno – continua Alloni – se c’è un’autorità sanitaria che ha fornito qualche parere, e quale, sulla destinazione di questo prodotto, sia essa alimentare che energetica”.
Alloni ha chiesto perciò all’assessore di “rendere noti e trasparenti i numeri e i risultati di eventuali analisi, ma anche il luogo dove questo mais è stato stoccato e quanto ne deve essere ancora smaltito”. Inoltre, ha chiesto di sapere che fine ha fatto l’intesa tra le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che doveva contribuire a dare trasparenza al percorso del mais non conforme ad usi alimentari indirizzato ai biodigestori e che ne avrebbe consentito lo smaltimento. Alloni vuole informazioni sui motivi per cui l’accordo è fermo e quali sono i problemi emersi nella sua attuazione.