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ALOMA - di Mercè Rodoreda

Creato il 16 febbraio 2012 da Ilibri
ALOMA - di Mercè Rodoreda ALOMA - di Mercè Rodoreda

Titolo: Aloma
Autore: Mercè Rodoreda
Editore: LaNuovafrontiera
Anno: 1969

Vedi quella giovinetta pallida, discosta da tutti gli altri? Guarda come si allontana lentamente. Sembra che cammini a piedi giunti. Non è vero che assomiglia molto a Margherita?” (Goethe, “Faust”).

Aloma ricorda Margherita. Giovane, inconsapevole, predestinata.

Ad Aloma, però, l’amore fa schifo.

La Barcellona in cui Aloma vive è racchiusa tutta nella casa d’infanzia con il suo giardino di gelsi, arance, rose e gardenie. E’ ancora giovane Aloma per le bancarelle della Rambla, stipate di garofani rossi, ginestra bianca, violette e rose più belle di quelle del suo giardino.

Era desolata di non poterne comperare. Dovevano risparmiare e non riuscivano mai ad avere le cose che gli erano più necessarie”.

Aloma ama essere guardata, ma il solo amore che conosce è quello di un libro da quattro pesetas, è quello stanco del fratello Joan per la moglie Anna, è quello tradito di suo fratello Daniel morto suicida, è quello destinato ad un amante immaginario che non arriverà.

Aloma non è pronta per il cognato Robert, che approda dall’Argentina con l’aria distratta di chi porta dentro di sé un passato ancora prossimo.

Aloma però è sempre Margherita e all’amore, quello che ti toglie il sonno e che presenta il conto, si abbandona senza speranza e, con lui, si perde.

Il realismo di queste pagine è sconvolgente. La scrittrice catalana Mercè Rodoreda scrive della vita – qui come nei suoi successivi romanzi, tra cui “La piazza del diamante” - con uno sguardo di donna, amaro e disilluso. Quello che ho provato nel leggerla è l’irresistibile tristezza che pervade i romanzi di Dostoevskij: qui come nell’opera dello scrittore russo la brama di vivere si scontra inevitabilmente con una realtà di sofferenza. Il risultato è nelle parole rassegnate ed incerte di Aloma “forse sono felice solo quando sono nel mio giardino, a guardare le stelle”. Forse.

Mercè Rodoreda riscrive Aloma nel 1969 (era già stato pubblicato in gioventù, nel 1938, poco prima del suo esilio all’epoca della dittatura franchista): lo stile – che alcuni hanno paragonato a quello di Virginia Woolf - è agile e schietto. Non ci sono storture né fronzoli, se non quelli delle vicende umane descritte. Ci sono donne in carne e ossa, a cui la vita non ha fatto sconti: diverse, ma a loro modo protagoniste. Gli uomini sono presenze fragili e ambigue: inutili nella loro necessità.

La forza di queste pagine è tutta nella scrittura trasparente ed indagatrice di un’autrice che ha vissuto con coraggio il suo tempo e che, pagina dopo pagina, non si può non apprezzare.

Attraversarono Piazza Catalunya. Un uomo malvestito tirava fuori da un cartoccio molliche di pane e le gettava ai colombi. Joan si girò verso Aloma e le prese una mano.

- Lo amavi?

Aloma lo guardò fisso con gli occhi pieni di angoscia.

- Lo amavi.

- No.

Ma non ne poté più. Si fece piccola tra le braccia del fratello, disgraziato come lei, e scoppiò a piangere per la solitudine che avanzava”.

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