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Alone in Berlin - Recensione

Creato il 16 febbraio 2016 da Lightman

Berlinale 66

Dalle pagine di Hans Fallada alle mani di Vincent Perez, la storia di una coppia di tedeschi che con delle semplici cartoline diedero il via ad una piccola resistenza nella Germania Nazista viene raccontata con dignità e attenzione, senza sensazionalismi.

Alone in Berlin - Recensione Alone in Berlin - Recensione

Serena Catalano Figura mitologica metà umana e metà pellicola, ha sfidato e battuto record mondiali di film visti, anche se il successo non l'ha minimamente rallentata. Divora cortometraggi, mediometraggi, lungometraggi, film sperimentali, documentari, cartoni animati: è arrivata addirittura fino alla fine della proiezione di E La Chiamano Estate. Sogni nel cassetto? Una chiacchierata con Marion Cotillard ed un posto nei Tenenbaum.

Ragazzi che giocano in strada, postine in bicicletta che suonano il campanello per passare e consegnano le lettere come ogni mattina. Si gioca, si chiacchiera, si fa colazione. La Berlino del 1940 è in guerra, il Führer è assetato di conquiste e il suo popolo gli crede, tanto da sostituire il classico 'buongiorno' con 'Heil, Hitler', ma nei quartieri proletari la vita scorre cercando la normalità. La cosa più importante è cercare di rimanere fuori dai guai, farsi i fatti propri, provare a non far entrare la guerra nelle proprie case. Ci provano Otto e Anna Quangel, che ogni giorno fanno il proprio dovere lavorando e appuntando le spille del partito alle loro giacche, finché la postina arriva con una lettera che non può più essere ignorata e la guerra entra, nella loro casa, con la morte del loro unico figlio. Dalle pagine di Hans Fallada alle mani di Vincent Perez, la storia (vera) di Otto e Anna riesce grazie ad Alone in Berlin a rivivere dopo una travagliata produzione, trasformandosi in un film di grande dignità e rigore, asciutto e diretto.

Alone in Berlin - Recensione

È soprattutto grazie alle sue performances attoriali che Alone in Berlin riesce a convincere: il profondo rispetto verso la materia trattata fa sì che Emma Thompson nei panni di Anna e Brendan Gleeson in quelli di Otto si muovano con attenzione nei loro personaggi, rispettandone il rigore iniziale e la progressiva consapevolezza di dover provare, nel loro piccolo, a fare qualcosa per cambiare la percezione del regime. Otto scrive le sue cartoline una dopo l'altra con metodo ed attenzione, lasciandole in punti strategici della città nel disperato tentativo di passare al popolo un semplice messaggio: il nazismo non è la cosa giusta per la Germania. I messaggi sono molteplici e contengono tutte le nefandezze del Reich, e più si accumulano più sembrano convincere anche lo stesso Otto, che ritrova nella sua missione un motivo per vivere e vendicare il figlio. La freddezza iniziale dei due attori lascia spazio lentamente al sentimento, che esplode nelle ultime sequenze grazie soprattutto ad una straordinaria Emma Thompson, scevra del suo inglesissimo accento e pronta a mettere in campo una verbosità più secca e dura, adatta al suo personaggio. Dall'altra parte, a tenere testa ci pensa Daniel Brühl nei panni dell'ispettore che fa nascere la caccia all'uomo con la violenza di un esaltato ma alla fine cade sotto i colpi di una verità troppo evidente per essere ignorata.

Delicatezza e rispetto per un progetto difficile ma dignitoso

Alone in Berlin - Recensione

I limiti in fase di produzione si traducono anche su pellicola: la ricostruzione di Berlino in alcune sequenze risulta troppo plastica, e la regia di Vincent Perez non riesce a scrollarle di dosso quella sensazione che permane anche negli interni. Non aiuta la linearità della sceneggiatura, in alcuni punti fin troppo prevedibile, anche se rimane comunque apprezzabile l'intenzione di lasciar lavorare gli attori soprattutto sui silenzi, riducendo all'osso i dialoghi in modo da creare un film che, pur rischiando in più punti di scadere nella retorica, riesce ad evitare i più classici tranelli del genere e a non scadere nel patetismo. Nel complesso il film riesce quindi a convincere, e a raccontare una storia inusuale su un periodo di cui si è raccontato molto, forse anche a sproposito a volte.

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