Con «La Buona Scuola» le aziende sono chiamate a contribuire alla formazione dei giovani in alternanza scuola-lavoro. Come si preparano a questa impresa? È con piacere che oggi pubblichiamo dalle pagine di Proposta Lavoro la lettera che un Hr Manager ha voluto condividere con noi nella quale illustra ad una collega le proprie riflessioni circa l’importanza che l’alternanza scuola-lavoro avrà nei prossimi anni, nonché cosa possono fare le aziende in prima persona per far sì che tale strumento si sviluppi sempre più come una autentica politica attiva.
Cara Collega,
come promesso provo a mettere in forma scritta alcune riflessioni sul tema in oggetto.
Partendo dal presupposto che stiamo parlando di una legge e che quindi sarà complesso modificare a breve la materia, possiamo però – come attori aziendali – suggerire modalità e interpretazioni concrete che consentano di rendere sostenibile queste operazioni di “avvicinamento” e “contaminazione” tra mondi così diversi.
Innanzitutto dobbiamo considerare che per i licei stiamo parlando di 200 ore (minime) nel triennio finale. Questo monte-ore tradotto in settimane (di 5 giorni di 8 ore) ci porta ad un impegno di 5 settimane. Si potrebbero quindi ipotizzare delle permanenza di 1 settimana per le terze, tre per le quarte e 1 per le quinte (in considerazione della maturità).
Motiverò tra poco questa suddivisione ma faccio una premessa:
Chi ha scelto il liceo (quale che sia) ha generalmente come obiettivo la prosecuzione degli studi in ambito universitario. L’alternanza scuola-lavoro per questi studenti rappresenta quindi un’occasione di orientamento prolungato per poter compiere la successiva scelta universitaria in modo più consapevole. “Vedere” al lavoro persone che hanno in precedenza frequentato lo stesso corso di studi liceali potrà convincere a scegliere un percorso universitario analogo o viceversa potrà convincerli del contrario: “non voglio finire così!”.
Capire e/o sapere cosa ci può essere dietro un certa “porta” induce a proseguire convinti o invece ci suggerisce di starne alla larga.
Sto evidentemente estremizzando e ciò non sarà valido per chi le idee chiare le ha già e da tempo. Ma per gli incerti o per chi suppone di sapere cosa “fare da grande” (credo siano la maggioranza) questa immersione nella realtà sarà certamente benefico e scongiurerà scelte avventate o decisamente sbagliate.
Vengo alla motivazione della suddivisione:
una settimana in terza: consentirebbe di introdurre i giovani al mondo del lavoro in modo soft e su tematiche molto generali: sicurezza, qualità, organizzazione e regole, importanza della conoscenza linguistica. Un laboratorio interessante da progettare potrebbe essere quello che, partendo dalle materie di studio traduce in cose concrete e utili nel lavoro:
- Quante volte un ingegnere utilizza il teorema di Pitagora o di Euclide o gli integrali o le derivate?
- Quante volte un avvocato usa il latino?
- Quante volte un Area Manager utilizza l’inglese?
- Quante volte un Controller usa la statistica?
- Quante volte un Marketing Manager deve fare presentazioni in pubblico o scrivere articoli per riviste specializzate?
Tre settimane in quarta: in questa fase potrebbero essere affrontati temi più specifici e si potrebbe essere affiancati e inseriti in enti operativi dove potenzialmente potrebbero operare una volta laureati.
Una settimana in quinta: a questo punto le idee dovrebbero essere già più chiare e si potrebbe lavorare per affinare e potenziare le aree di maggior interesse.
Bisogna evidentemente concordare, progettando con la scuola (docenti) il percorso, decidendo se sia più vantaggioso frazionare in giorni o in intere settimane la presenza in Azienda. E’ difficile stabilire a priori una regola e quindi di caso in caso si dovrà decidere come agire.
I soggetti ospitanti possono essere diversi (in alcuni casi potrebbe essere la scuola stessa che anch’essa contiene dei “mestieri” da illustrare e narrare). Per riuscire a ospitare la massa di giovani in alternanza dovranno tutti fare la loro parte (piccoli e grandi). Pensando a noi aziende più hard ritengo che non ci saranno particolari problemi a patto che siano chiare le condizioni e si sviluppi la consapevolezza che la disponibilità data potrebbe dare frutti solo a più lungo termine. Si dovrebbe sviluppare il concetto di “vivaio e adozione”, il che potrebbe portare, in alcuni casi, ad investire su un giovane che si ritiene particolarmente promettente supportandolo anche materialmente nei sui studi (borse di studio, pianificazione di stage curriculari in fase universitaria ecc.)
Il rapporto con il corpo Docente
E’ noto il fatto che il corpo docente vive questa novità con perplessità e in alcuni casi con avversione. Nel peggiore dei casi ci si troverà di fronte a chi ritiene che la scuola, per missione, non ha quella di formare al lavoro ovvero il suo scopo è trasmettere conoscenza e cultura. Ciò è vero e certamente non si chiede di far diventare i licei degli istituti di formazione professionale. Ma è lecito chiedere che, per responsabilità civile e onestà intellettuale un docente si ponga almeno per un attimo la domanda: “Ma ciò che insegno come si tradurrà in attività concreta, ovvero professionale?” E’ corretto e lecito chiedere ai Docenti di essere anche “allenatori alla vita, oltre che dispensatori di verifiche e compiti”? Io credo che sia lecito e probabilmente scoprirebbero che il loro lavoro tornerebbe ad avere un riconoscimento sociale importante e diventerebbe più appagante.
Visto che qualche difficoltà si riscontra anche tra i Docenti degli ITIS, che di norma dovrebbero essere più vicini al mondo del lavoro; immagino che nei Licei qualche resistenza in più sarà naturale. Dovremo essere convincenti e aiutarli in questo senso.
Credo di aver già scritto troppo e quindi mi fermo qui. Come vedi di questioni da affrontare ce ne sono parecchie. Rimango quindi a tua disposizione per approfondire.”
Adriano Gallea
HR Manager Italia di Prima Power
Divisione Machinery del Gruppo Prima Industrie S.p.A.
Carlotta Piovesan