Natale in Sudafrica
E' banale, per non dire semplicistico parlare male del "cinepanettone". Per molti versi, sarebbe più facile trovare motivazioni di sostegno, in un modo o nell'altro, magari affidandosi alla cultura weirdo. Non posso esimermi però, per quanto sia banale, dal dire la mia. "Natale a..." è un surrogato televisivo, uno spettacolino messo su con pochi soldi da un teatro parrocchiale (magari non proprio parrocchiale solo per le volgarità), uno specchietto per le allodole, una formula riscaldata. Stando bene attenti, vedrete quale possa essere il corrispettivo televisivo del "cinepanettone". E' il reality, magari un pò talent, un pò spycam morbosa, un pò varietà, un pò fenomeno da baraccone, un pò uno spot, un pò una serata di finta informazione, un pò Bagaglino, un pò fiction all'acqua di rose. Oltre a questo, non vi è niente. E' puro product-placement, surrogato, prodotto in scadenza che non scade mai, ripetizione della ripetizione, canovaccio spacciato per commedia dell'arte quando si tratta di qualcosa di molto diverso dal carattere popolano passato, quello di De Sica padre, ma anche di Totò o di Nichetti, per andare un pò oltre nel tempo. "Natale in Sudafrica" suona come la rincorsa la mondiale perduto, la polemica televisiva, la promozione in vista di qualche evento "cul-turale", l'ospita nei programmi simili al suo imprinting. Se vi basta, accomodatevi, senza alcuna remora nè deleggittimazione. Se non vi basta, scegliete altro.
L'alternativa:
Amici Miei di Mario Monicelli
Mario se n'è andato prima di vedere il rifacimento del suo film da parte di Neri Parenti. L'alternativa ai "Natale a..." di Parenti, appunto, è proprio "Amici Miei". Per prima cosa il paragone può essere fatto per la scelta di un medesimo genere, la commedia. La commedia significa, nel caso di Monicelli, coralità. Come nel caso di Parenti. La differenza sta nei personaggi e negli interpreti. Parenti mette insieme un De Sica figlio imbarazzato (e imbarazzante), a cui aggiunge la donna-oggetto (con tanto di segnalazioni anatomiche), e un cast di comprimari preso dalla nuova generazione di comici televisivi, magari sfortunati da qualche tempo, oltre alla bambina incolore e insapore Laura Esquivel, ennesima degenerazione televisiva da telefilm per ragazzi, tanto per restare in casa. Monicelli segue la tradizione del film corale e sceglie, per una storia con dei caratteri memorabili da una sceneggiatura di Germi, tra gli altri, Philippe Noiret, Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Duilio Del Prete, Adolfo Celi. Piuttosto che un canovaccio incolore, con quattro risatucce, Monicelli dona vita ai suoi personaggi, al paese, che diventa protagonista e non cartolina, magari pure da post-produzione, e satireggia un mondo di uomini al tramonto, con una voglia di vita insperata, di cui emerge la consistenza, la forza motrice che li fa diventare autori di "zingarate", come i bambini, con un gusto di cinicità marcata che diventa sinonimo di innocenza. Monicelli guarda al singolo, ma anche alla società, o meglio al gruppo, e il suo tono è agrodolce, grottesco, drammatico, comico. Parenti guarda all'incasso, alla società da gabbare, e il suo tono è becero e volgare. Ecco la differenza e l'alternativa.
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