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Innanzitutto si tratta non di un quotidiano qualunque, ma di uno dei più autorevoli del mondo e poi quel magnate, è Jeff Bezos, uno che ha rivoluzionato molte cose sempre in questo stesso mondo. Ma non solo.
Bezos, che compra un quotidiano è una roba grossa: e perché l'editoria ci dicono da ogni parte che è in crisi - non che in realtà non sia così - ma se uno come lui decide di investirci, significa che c'è qualcosa di questa crisi, che non è chiaro. Qualcosa che la lega alle contingenze ma che lascia spazio per un investimento futuribile. Bezos è raro che faccia errori così grossolani quando si tratta di capire dove va il futuro e dove mettere i suoi soldi, su questo dovremmo essere d'accordo.
A questo si lega un altro grosso aspetto, e cioè il modello di business che sarà. L'inventore di Amazon, che compra un giornale, cosa potrà significare per il futuro del settore? Come si muoverà? Quali saranno le novità? Come quell'investimento difficilmente sbagliato, potrà dunque diventare fruttuoso, visto i non rosei presupposti (sarebbero più di cinquanta i milioni di passivo del quotidiano)? E c'è da giurarci che il tutto, se sarà - e potrebbe essere anche a detta dello stesso Washington Post -, diventerà un riferimento anche per parecchi altri - se, come si diceva altrettanto, vogliono sopravvivere.
Dunque si raccontava ieri della lettera - già, i modi contano e contano di più ancora le parole, come quel "coraggio" che spicca sopra a molte altre - con cui Bezos aveva comunicato l'operazione ai dipendenti: il NY magazine ha raccolto la reazione dall'altra parte, mettendo insieme una carrellata di tweet con cui lo staff del Post ha salutato la notizia. Tra questi saluti c'è una memorabile lettera aperta del due volte premio Puliztzer Gene Weingarten, che racconta la storia di quando da giovane si rifiutò di scrivere un pezzo su un premio - il Silver Knight - che poi alla fine lo vinse un ragazzo di nome Jeff Bezos. E poi dice una cosa molto bella sui rapporti gerarchici di lavoro: "Kick up, kiss down" che gli ha insegnato Howard Simons (direttore del WP intorno alla fine degli ottanta).
C'è poi già in giro un'ampia letteratura sui retroscena dell'acquisto: Andy Borowitz (sempre brillantemente ironico) scrive sul suo blog per il New Yorker un finto retroscena, come se Bezos avesse comprato per errore il Post, cliccando sull'icona e aggiungendolo al carrello, accorgendosi dell'acquisto solo dopo l'addebito dei 250 milioni sulla sua carta di credito - per inciso, la cifra pagata dal boss di Amazon, secondo le stime rappresenterebbe l'1 per cento del suo capitale personale. Più seri invece, i pezzi di Henry Blodget per Buisiness Insider (in cui pochi mesi fa lo stesso Bezos aveva investito cinque milioni di dollari, per il potenziamento della squadra redazionale) e di Matt Buchanan (New Yorker) con un velato accenno all'accentramento di proprietà dei media. Su Bloomberg si parla dell'attività di lobbyng come di una questione complicata per il Post e su Salon si parla di un'operazione che ha salvato il quotidiano - ne scrive Andrew Leonard -, sul Wall Street Journal si parla dell'ampia differenziazione di investimenti del patron di Amazon, a cui si accennava anche ieri.
Per quello che riguarda i commenti in Italia, tra i tanti, quello di Filippo Sensi su Europa - straordinario come sempre, scomoda la tracotanza dell'hybris - e del direttore di Rivista Studio, Federico Sarica che parla di "lezione". Sul Foglio invece, Mattia Ferraresi racconta un po' della vendita "di un'epopea" e Pietrangelo Buttafuoco, polemico sull'abbassamento di livello che il giornale avrebbe subito ultimamente - personalmente non troppo vero - reo di un'inchiesta piena di qualunquismi e luoghi comuni sul governatore siciliano Crocetta.
Tanta roba, insomma. Forse da leggere con calma domenica, che poi magari piove.
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