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Riprendo il discorso dove l'ho frettolosamente interrotto venerdì scorso. Detto di passata, ho passato tre giorni da favola davanti al mare d'inverno.
Ma torniamo a noi. Mi sono reso conto, riflettendoci, che sono numerosi gli aspetti del tema «delusioni per i nuovi autori» e che, rispetto ad altri tempi - quelli ai quali ho appartenuto - è necessario dividere il tema in almeno altre due parti. Sicché comincerò dal tema più aggiornato, ovvero la presenza di internet e il suo peso nella definizione di «nuovo autore», per riservare un'occhiata successiva al tema eterno del rapporto con i possibili editori.
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Il nostro problema, ridotto ai minimi termini, è l'aver creato ex-novo un testo - poesia, racconto, testo teatrale o radiofonico - e voler cercare qualcuno che lo ritenga adatto a un pubblico più vasto di mamma, papà, parenti e amici assortiti.
È abbastanza normale trovare qualcosa di unico ed eccezionale nel vostro testo, paragonarlo a un testo dello stesso tipo di un autore noto e non trovarlo in nulla inferiore, pensare di aver scritto qualcosa di unico - per l'approccio, il modo, la visione, il punto di vista, lo stile - e stupirsi se qualcuno non se ne accorge, ammettere una certa immaturità nella propria scrittura ma sottolinearne la spontaneità e la freschezza, cercare un parere - ovviamente equilibrato, cioé positivo - che faccia emergere tutti gli aspetti occulti del vostro testo.
Può succedere anche questo, certo, se vi chiamate Büchner o, si parva licet, Ballestra o Strazzulla, ma in genere non è così. Il problema, il vero problema, è lo strabismo che coglie l'autore di fronte alle proprie pagine. Non ho altro modo per definire l'incapacità in gran parte involontaria di chi immagina di leggere anche ciò che non è materialmente scritto sulla pagina, cogliere profonde risonanze nelle parole scelte ma che sono semplici echi di se stessi e che lasceranno giustamente indifferenti gli altri lettori.
In realtà, e mi rendo conto di apparire gelidamente cinico, lo scopo di chi scrive è quello di giungere a un sostanziale distacco dalle proprie parole, a leggerle come se fossero state scritte da altri, a giudicarle con freddezza e senza nessun autocompiacimento. Una pratica che Italo Calvino compendiava con la frase: «Lasciar raffreddare il testo e poi rileggerlo».
In un certo senso è giusto dire che il primo critico di noi non possiamo che essere noi stessi, l'unico modo, tra l'altro, per sopravvivere alle prime critiche, soprattutto se feroci, ironiche o supponenti.
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Ma il problema, con l'avvento di internet, non sono tanto le critiche - sostanzialmente inesistenti per gli autori ignoti - quanto il silenzio assordante che accoglie ogni nuova uscita. La rete ha l'enorme pregio di giungere teoricamente ovunque e di poter potenzialmente essere letta da chiunque, senonché è proprio la sua dimensione assoluta a demotivare i possibili lettori. Chi legge su internet è abituato - o si è abituato - a saltare da un argomento all'altro, da un tema all'altro, da uno spunto all'altro. Di fronte a un giornale o a un libro ci sentiamo in qualche modo sottilmente colpevoli a non terminare un articolo o un paragrafo, ma il web non funziona così: nessun senso di colpa, in fondo stiamo soltanto «dando un'occhiata», senza volerci davvero immergere in ciò che appare sullo schermo. Il conflitto tra la disponibilità di cose da leggere e il tempo sempre scarso da dedicare alla lettura e all'informazione si risolve così con la chiusura a tutto ciò che ci impegna in tempo e in fatica oltre un certo limite. I primi a farne le spese sono ovviamente i testi più impegnativi e tra questi i racconti o i romanzi pubblicati a puntate attraverso un blog.
Discorso non troppo dissimile riguarda i testi in forma di e-book, disponibili gratuitamente o a un prezzo francamente ridicolo (0,99 per volumi di sei-settecento pagine) e che chiunque può scaricare. E qualcuno lo fa, certo, ma finendo col dimenticare l'e-book sul kindle o sull'e-reader senza fornire all'autore alcun riscontro, critica (anche polemica), impressione, giudizio o dubbio. E il numero dei lettori, una volta esclusi i consueti parenti e amici, rimane comunque largamente insufficiente a sostenere il sogno della fama, in primo luogo, e della ricchezza - in secondo luogo - che il mestiere di scrittore sembra promettere. Nella migliore delle ipotesi si rimane scriventi per hobby e passione - una condizione in realtà normale, scrivendo in lingua italiana -, con poche possibilità di essere notati dalle leggendarie case editrici [*], anche o soprattutto perché incapaci di scrivere con uno stile appena professionale, ovvero con un minimo di mestiere.
Di nuovo confesso il mio freddo cinismo, ma senza il mestiere - che sostanzialmente significa aver scritto per migliaia di pagine e averne gettate via altrettante, il tutto in cambio di ben poco - non si arriva da nessuna parte.
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«Beh, non è mica detto. Tu sei soltanto un po' zuccone, tutto qui»
Probabile, non ho mai detto di essere un genio, se non all'iniz... cioè, come non detto... io qui parlo per i soggetti normodotati non per i genii con due "i", quelli sanno già tutto e quindi avranno smesso di leggere da un tot questo inutile blog e il vecchio gufo che vi scribacchia.
Per i non genii dirò che la tentazione di pubblicare comunque, anche a 0,99 € (o gratis), è troppo forte per resistere a lungo. Perché affannarsi sulla pagina scritta se nessuno scopre quanto siamo fichi? E allora via, pestando sui social network e presentandoci ovunque anche con l'aiuto degli amici.
«Hai poco da fare il verginello. Hai una home che sembra una bancarella a Natale. Cheppoi tanto non li legge niuno».
Vero. Ma l'80% di ciò che ho pubblicato aggratis proviene da una precedente pubblicazione cartacea. Ho offerto gratuitamente i miei testi dal momento che, anche se poco o pochissimo, mi erano stati già pagati. Sul discorso dei social network e sull'usare gli amici comunque hai ragione. Non li ho utilizzati quanto e come potevo, ma non me ne pento. Ho una passione masochista - o probabilmente una superbia rara per un solo umano - nel mantenermi oscuro. E probabilmente il dubbio di non valere granché. Comunque la fama, anche se poca e micragnosa, è un vizio del quale non è facile liberarsi.
Ma torniamo a bomba.
La relativa notorietà ottenuta regalando o quasi i propri testi non ne cambia minimamente il valore. Anzi. Si potrebbe avanzare il dubbio che maggiore è il grado di agitazione, concitazione e di superlativa faccia di tolla di chi propone i propri testi, meno quei testi varranno in quanto tali. D'altro canto è divenuto - o forse tornato - normale comprare il personaggio insieme alla sua opera, vi ricordate un certo Gabriele D'Annunzio?[**].
La pubblicazione via internet rischia, in sostanza, di essere un altro genere di delusione. Una delusione fatta di vuoto, di assenze, che può dare la sensazione di chiedere l'elemosina davanti a una stazione in disuso. Non può e non deve essere l'unica strada per la narrativa, anche per un narrativa da poveracci com'è quella che la lingua e lo stato delle cose ci permettono. Diciamo che internet è un buon modo per mantenere i contatti con i propri lettori e offrire loro qualche bocconcino inatteso, ma affrontare professionalmente il mondo dei libri e degli e-book è irrinunciabile.
Il che non migliora le cose, ma se non altro le rende più chiare.
Alla prossima.
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[**] Che poi D'Annunzio è anche un ottimo scrittore e poeta. Non dico che sia la mia passione ma certo preferisco una pagina di D'Annunzio a un fantasy di un nuovo talento.