che c’entra oggi roma mentre come un palombaro mi muovo al verde dei semafori le ragazze ridono dentro le loro felpe gli scolari s’inciampano mezzi addormentati ho idea che in giappone a quest’ora siano già tutti al lavoro cosa c’entra oggi roma in questo nordovest autunnale di poche parole di palazzi impacchettati saracinesche abbassate e non è che le foglie morte mi piacciano poi tanto cosa c’entro allora io che scendo a termini con la mia samsonite dall’equilibrio precario che percorro la banchina svirgolando tra i turisti in festa l’aria molle che s’infila nelle narici lo sguardo puntato ai tabelloni come se avessi esperienza di questo bailamme di corpi contro i quali andare a sbattere un’edicola proprio dentro la stazione biglietti per la metro grazie sì la metro e non il metrò linea B si aprono le porte un mucchio caldo ne discende mi aggrappo al corrimano apro le gambe a compasso con bella sicurezza ondeggio a ogni arresto e ripartenza devo pensare alla svelta sono appena tre fermate castro pretorio policlinico bologna non c’è niente che venga a disturbare questo scorrere veloce finché non ne esco un breve percorso di scalini e svolte la valigia che sbanda pericolosamente riemergo forme e odori che spuntano dalle aiuole in mezzo alla piazza il chiosco proprio come avevo immaginato o forse è l’arredo urbano a essere uguale ovunque e là in fondo viale delle province o provincie come vedo scritto farmacia rosticceria dietro l’angolo via reggio calabria mi attende una piccola stanza al pianterreno rumori inediti dal marciapiede cadenze da film anni settanta meglio abbassare gli avvolgibili e poi a me roma per la prima volta tutto appare straordinario eppure è come se già sapessi come questo viaggiare da solo galvanico una storia nuova inscritta da qualche parte nei miei geni altrimenti queste cose fanno bene al cuore come l’assoluta necessità di muovermi alzarmi presto al mattino perché a roma non si può star fermi tragitti urbani da restare senza fiato né forze il novantatré il trecentodieci mi chiedo perché gli autobus hanno questi numeri bislacchi piazza istria l’eleganza subalpina del quartiere trieste le gole di amatrice gli ombrelli aperti calopresti che pranza al tavolo accanto l’ottobre capitolino si rigira umido e indolente mi piace l’odore brumoso di questa libertà dove tutto è provvisorio parziale di passaggio tutto è così bello qui a roma persino le tubazioni che vengono fuori dai cantieri aperti spendersi come spiccioli di mano in mano parole e gesti consumati come suole sull’asfalto occorre vivere vivere vivere in questa città che non ha età né pensieri gettare lo sguardo oltre il finestrino appannato immerso in un soprabito che mi sta largo senza domandarsi troppo a parte il tempo presente l’unico che abbiamo risalire il corso delle vene cancellare con la voce ogni traccia di incertezza altrimenti felice amnesico ecco cosa c’entra oggi roma c’entra a tal punto perché adesso la vedo levarsi lontana come un binocolo preso alla rovescia che quel tempo è scaduto da tempo e non si tratta di cattiva coscienza perché mi piacque sì che mi piacque ma di consapevolezza poiché io non c’entro più con quel sogno ponentino vacante vagamente stordente che nulla avrebbe più da offrire in questo pungente risveglio tardivo è una storia col finale a lettere chiare non lascia indietro rimpianti e passi perduti io non c’entro più con quel vagabondare insaziato roma è ora il bisogno di fuggire da posti in cui mi ero fissato è un libro riposto nel suo scaffale insieme agli scritti e alle lettere lo scatto secco di una serratura alle spalle lo sbuffo amaro di un treno che parte nella sera termini che si allontana curvando
(fotografia scattata il 31 ottobre 2007)