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Alan Rickman non c'è più. L'annuncio passa per caso, silenzioso e agghiacciante mentre stavamo tutti pronti ad aspettare le nomination all'Oscar e a fare pronostici, lanciando invettive contro il mocio di Jennifer Lawrence e incrociando le dita per Leonardo DiCaprio. Solo il gioco della stagione dei premi, la gara a vedere un film dietro l'altro per stare al passo e fare pronostici: tutto andato di traverso, irrimediabilmente e a ragione, perchè la morte di Alan Rickman è di quelle che fanno male, malissimo. A pochissimi giorni di distanza da David Bowie perdiamo un altro grande nome di quelli che hanno fatto storia, anche se per i media la percezione dell'evento è inevitabilmente (lo so che Bowie era Bowie) più pacata e contenuta. Anch'io ho la mia personalissima hit di canzoni favorite del Duca Bianco, ma non posso negare di non essere mai stata la sua fan numero uno e di avere sentito invece un gran brutto vuoto dentro, un buco di silenzio reso ancora più profondo dalla casa immobile e temporaneamente deserta, dopo aver appurato che la scomparsa di Alan non era solo una bufala; perchè anche se quando l'avventura di Harry Potter è iniziata avevo già 14 anni anch'io sono cresciuta con lui e con la sua generazione, a sognare scale che amassero cambiare e passaggi segreti al corridoio del terzo piano, ad aspettare la lettera per Hogwarts per poi muovermi fra i suoi corridoi come se fosse casa mia, impaurita e affascinata dalla personalità di quel Professor Piton che sembrava tanto nero e oscuro, con le sue occhiate fulminanti e un'inclinazione al disprezzo e alla vendetta privata degna del ringhio del mio Professore di Greco e latino nelle sue giornate peggiori: quanti insulti dopo la lettura del Principe Mezzosangue e quante richieste di Perdono dopo i doni della Morte per il personaggio più bello e sorprendente nell'universo creato dall'ingorda J.K. Rowling, un'imperturbabile maschera di tunica e capelli corvini che Rickman ha saputo raccontare sul grande schermo con tutta la grandezza, l'eleganza e la tragicità che l'hanno sempre contraddistinto.
Una nota di malinconia, sempre presente in quegli occhi sottili che sembravano prestarsi così bene a ruoli negativi e ambigui ma che sapevano sposarsi con altrettanta decisione a sorrisi rari e preziosissimi: villain di notte ed eroe romantico di giorno, con quel colonnello Brandon che illuminava di sole la versione di Ragione e sentimento diretta da Ang Lee, il mio primo vero contatto con Jane Austen anche se all'epoca non mi rendevo conto di quanto potesse essere preziosa una cassetta in lingua originale da guardare obbligatoriamente a scuola durante l'ora di inglese.
Di tutti i ruoli memorabili da lui interpretati, passando dal perverso Giudice Turpin di Sweeney Todd all'Alexander Dane di Galaxy Quest fino al marito malato e coscientemente tradito del raffinato Una Promessa di Patrice Leconte, quello dello Sceriffo di Nottingham in Robin Hood: Principe dei Ladri è quello a cui voglio bene più di tutti: ci guardavamo la cassetta in continuazione, io e la mia amichetta delle elementari, finendola e rimettendola da capo nella sua minutissima stanza da letto prontamente fornita di videoregistratore, coprendoci gli occhi nelle scene dove la Strega di Geraldine Chaplin arpionava con unghie affilate schifezze di ogni genere per fare le sue predizioni, ma sempre determinate a correre il rischio ad ogni singola visione come se fosse il massimo della trasgressione audiovisiva (che ne sanno i pischelli di oggi di cosa voleva dire avere 8 anni negli anni 90'?). Divertente, completamente pazzo e allucinato, pronto a strappare elegantemente il cuore al suo nemico con un cucchiaio perchè con un pugnale sarebbe stato tedioso, come avrei scoperto anni dopo lo Sceriffo era soprattutto frutto dell'estro di Alan Rickman: tanto c'avevamo Luca Ward, e chissenefregava allora dell'accento americano di Kevin Costner.
Se ne è andato così un altro pezzo della mia infanzia, un altro attore entrato a far parte di me senza chiedere niente in cambio ma dandomi tutto ciò che poteva, per il tempo di un lungometraggio andato a incastrarsi felicemente in un passato che ogni giorno si fa ancora più remoto, spinto da quella meravigliosa e maledetta clessidra del tempo che gioca con la nostra esistenza senza controllo né preavviso, ma che si tiene insieme con forza grazie ai ricordi più o meno memorabili che hanno lastricato il sentiero fino ad oggi; un'altra memoria da custodire, triste come quando guardandoti allo specchio a 12 anni sei scoppiata a piangere perchè hai realizzato improvvisamente che non saresti vissuta in eterno, e felice come quando hai capito che ogni singolo fotogramma della storia vale e varrà sempre la pena: per sempre, Alan, dopo tutto questo tempo.