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Principale difetto del film è l'onnipresente voce off della protagonista. Didascalica, mai illuminante, quasi sempre chiamata a rimpiazzare i compiti di una regia e di una sceneggiatura incapaci di affrontare i risvolti psicologici dei personaggi. La prima parte tuttavia riesce a sopravvivere a tale supplizio. Il regista s’accosta con delicatezza al mondo di Susie, ci coinvolge nelle sue passioni, nel suo amorevole rapporto con gli altri membri della famiglia e, in particolare, tiene desta l’attenzione giocando d’anticipo, preannunciando cioè la tragica morte della ragazzina per mano dello squilibrato vicino di casa. Non si grida di certo al capolavoro, l’originalità non la fa da padrona, eppure, l’atmosfera malinconica legata all’imminente doloroso destino di Susie, riesce ad ammaliarci. In tal senso, il parallelismo – voluto o meno – con "La vita è meravigliosa" (film anch'esso legato al rapporto aldilà/aldiqua e che ha nel titolo la morale strombazzata nel finale...) gioca un ruolo significativo. Come capita al George Bailey del film di Frank Capra, anche Susie si ritrova nella circostanza di salvare la vita al fratellino. Con una rilevante differenza: al suo doveroso e nobile gesto non corrisponderà una ricompensa. Anzi. La morte, che per un attimo ha aleggiato dalle sue parti, verrà presto a chiederle il conto in quello che è da considerare il momento culminante di “Amabili resti”, ossia l'inesorabile discesa agli inferi qui rappresentati dall'angusta stanza in cui si consumerà il delitto. La scena, che è un piccolo gioiello di regia, montaggio e gestione della suspense, chiude in bellezza la prima mezzora del film, creando uno spartiacque oltre cui regnerà un’imbarazzante pochezza d’idee direttamente proporzionale all’(ab)uso degli effetti speciali. Sì perché, da qui in poi, l’atteso dialogo tra i due mondi del film (quello dei vivi e quello dei morti) sarà perlopiù vanificato da una computer-grafica poco utile a livello narrativo. Ragion per cui, proprio perché caratterizzato da mirabolanti e coloratissimi effetti visivi, l’Aldilà in cui Susie si ritrova a vagare irrompe ogni volta come un assurdo spot pubblicitario il cui prodotto reclamizzato è il solo narcisismo di Peter Jackson (tra l’altro, molto discutibile sul piano estetico). Una sorta di riempitivo psichedelico (siamo negli anni ’70…) per colmare i vuoti di una trama sempre meno incisiva sul piano drammaturgico. Lo stesso dicasi della sequenza relativa all’irruzione della nonna, interpretata da Susan Sarandon, nella vita familiare sconvolta dal lutto. Una serie di scene, si presuppone pensate per alleggerire il tono della storia, che si rivelano invece poco divertenti quanto del tutto inutili.
A peggiorare ulteriormente le cose, alcune debolezze di sceneggiatura:
1) Susie, che ha la passione per la fotografia, consuma una quantità considerevole di rullini che i suoi le promettono di sviluppare uno per volta, a cadenza mensile. Dopo la sua morte, il padre trova la scatola con i rullini e decide di mantenere la promessa. Mese dopo mese sviluppa così le foto che la figlia ha scattato. In uno dei tanti rullini sappiamo esserci la foto che ritrae l’assassino. Ovviamente sarà l’ultimo rullino rimasto da sviluppare …guarda caso!
2) Come fa, però, il padre a capire che quello nella foto è l’assassino di sua figlia? La foto è stata scattata da Susie in una circostanza tranquilla, in presenza sua e di sua moglie. Quale elemento, presente nella foto, spinge il padre di Susie a sospettare del vicino? Il fiore che gli copre la faccia? Mah!
3) Okay, diciamo che il padre di Susie “sente” che quella della foto sia una coincidenza troppo forte. Afferra una mazza da baseball e segue l’assassino mentre s’inoltra nel campo di granturco per spiare la coppietta che lì s’è appartata. Nel frattempo, dall’Aldilà, Susie segue la scena carica di vendetta, speranzosa che il padre possa farsi giustizia da sé. Accade però un imprevisto: il fidanzato appartatosi con la propria ragazza lo scambia per il guardone e lo assale riducendolo in fin di vita sotto gli occhi del vero pervertito. Utilità della scena? Evidentemente alimentare la tesi moralistica per cui se auguri il male a qualcuno questo ti si ritorce contro. Non scatterà infatti nessuna denuncia o indagine relativa all’accaduto. L’aggressore, svolto il compitino, sparisce dalla trama riducendosi così a mero pretesto.
4) Lo stesso accade con Ruth e Ray, rispettivamente la strana studentessa che possiede il “dono” di vedere i morti e il giovane innamorato di Susie. La prima, assai intrigante vista la componente paranormale che la caratterizza, non viene mai sfruttata appieno, mai raccontata davvero, tanto da figurare come un espediente di comodo quando, nel finale, riuscirà ad accontentare il “desiderio latente” di Susie e di Ray. Di conseguenza, la scelta di tenere anche quest’ultimo sullo sfondo della storia impedisce proprio alla scena in questione di esprimersi con la carica emotiva dovuta. La riflessione sul dolore di Susie, privata per sempre della sua adolescenza allo sbocciare del primo serio coinvolgimento sentimentale, è difatti ridotta ai minimi termini.
Si potrebbe obiettare che talune scelte siano mutuate dall’omonimo romanzo di Alice Sebold, che quindi non tutto sia demerito del regista. Non è così. Un motivo ci sarà se si parla di adattamento, di riscrittura in forma cinematografica. Inoltre, se hai scelto questa storia è anche perché ci hai visto del buono e dubito che un regista del peso di Jackson si sia trovato nella situazione di dover accettare un lavoro suo malgrado. Ad ogni modo, non è il romanzo che qui si analizza, ma il film in sé. Ovvero il risultato di una regia superficiale, goffa nel trasmetterci la totalità di una tale mostruosa tragedia, con l’aggravante di un finale insulso e mellifluo.
Infine, l’altra nota dolente: il cast artistico. Se la giovane Saoirse Ronan risulta strepitosa nel ruolo di Susie, tanto da stupire quanto o più di Stanley Tucci (bravissimo anche se non superlativo interprete del viscido George Harvey), lo stesso non si può dire degli altri colleghi di reparto. Su tutti Mark Wahlberg. Padre disperato, vendicativo, affettuoso ma sempre con le solite due espressioni concessegli dal repertorio (vedi anche “E venne il giorno” di M. Night Shyamalan). Seguono a ruota Rachel Weisz, madre bellissima ma inconsistente, e l’ancora affascinante Susan Sarandon la quale, dato il surplus di stereotipi di cui è vittima la sua per niente simpatica Nonna Lynn, dovrebbe sporgere denuncia verso gli sceneggiatori.
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