Su questa vicenda, abbiamo chiesto un parere all’Avvocato penalista Gianluca Arrighi che, durante la sua carriera oltre al successo, ha raccolto alcune storie pubblicandole in “Crimina Romana”. Il romanzo, subito rivelatosi un best seller è rimasto per oltre sei mesi nella top ten dei libri “crime” più venduti.
Un successo che non è passato inosservato alla scuderia della Baldini & Castoldi che ha riconosciuto il valore della sua penna e l’esclusività dei sui racconti. Il suo prossimo romanzo “Vincolo di sangue”, è tratto da una storia vera e sarà in libreria a gennaio 2012.
Avvocato, cosa ne pensa della sentenza emessa?
Sentenza prevedibile. La condanna di primo grado si basava principalmente su prove scientifiche. Nel processo di secondo grado la Corte d’assise d’appello ha disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e ordinato una perizia, negata invece dai giudici di prime cure.
In sostanza i giudici di primo grado avevano fondato la sentenza condanna sulle consulenze tecniche affidate dalla procura alla polizia scientifica.
Le difese di Amanda e Raffaele, in primo grado, avevano richiesto fortemente una perizia (super partes) al fine di ottenere da un tecnico “terzo” (il perito, appunto) delle valutazioni “neutrali” sulla efficacia probante di quanto raccolto e repertato dai consulenti della procura.
Tutte le richieste delle difese erano state respinte dalla Corte d’assise. In appello, invece, le istanze difensive hanno trovato accoglimento e i periti nominati dalla Corte hanno demolito le consulenze tecniche della procura.
A questo punto il processo non poteva che concludersi con una sentenza d’assoluzione, considerando altresì il principio “sacro” per il quale “in dubio pro reo”.
La riflessione che suggerisce questa sentenza è quello per cui non bisogna sopravvalutare le investigazioni scientifiche a discapito delle investigazioni tradizionali.
Cosa succederà adesso?
La procura ricorrerà sicuramente in cassazione avverso la sentenza di assoluzione.
Nel frattempo i due imputati, come previsto dalla legge, sono stati rimessi in libertà.
Solo la Suprema Corte potrà mettere definitivamente la parola fine a questa vicenda processuale.
Tuttavia ritengo che ormai l’esito del processo non muterà.
La giustizia italiana ha fallito?Ho sentito molti opinionisti sostenerlo in queste ore. A mio avviso, invece, vale esattamente il contrario.
La giustizia italiana ha trionfato.
I tre gradi di giudizio servono appunto per rimediare ad eventuali errori commessi dai giudici precedenti. E’ una garanzia per tutte le parti processuali, sia per l’accusa che per la difesa. Capita spesso che le sentenze di primo grado vengano ribaltate nei gradi successivi. Secondo l’opinione pubblica, tuttavia, sembra quasi che le sentenze “giuste” siano solamente quelle di condanna.
In realtà il processo, nei suoi tre gradi, serve proprio a stabilire se un imputato sia innocente o colpevole. Amanda e Raffaele sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Per la legge non sono loro gli assassini della povera Meredith. Questo può creare in alcuni non addetti ai lavori disagio o smarrimento, ma le sentenze vanno sempre rispettate. E quelle di assoluzione hanno la stessa dignità e lo stesso valore di quelle di condanna.
Ma bisogna fare un’altra riflessione importante che riguarda la custodia cautelare in carcere. Secondo il codice di procedura penale la custodia in carcere dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, una misura da applicare eccezionalmente, solo nel caso in cui nessuna altra misura sia in grado di soddisfare le esigenze cautelari. Questo perchè secondo la nostra Costituzione un individuo è innocente sino alla sentenza di condanna passata in giudicato.
Questi due ragazzi sono rimasti in carcere, in custodia cautelare, per 4 anni. Ora una sentenza d’appello li ha dichiarati innocenti.
Questa è l’anomalia: salvo casi eccezionali, la pena dovrebbe essere espiata in carcere solo quando la condanna diviene definitiva e non in pendenza del processo perché, sino alla “res iudicata”, l’imputato per legge è da considerarsi innocente. Se e quando la sentenza di assoluzione dovesse passare in giudicato, i due ragazzi potranno incardinare dinanzi alla Corte d’appello un procedimento di riparazione per ingiusta detenzione.
Il codice di procedura penale prevede infatti che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Alcuni testimoni avevano affermato di aver visto i due giovani proprio vicino la via dove è avvenuto il delitto, oggi,l’assassino, è ancora in libertà. Ma i 2 ragazzi non erano finiti in carcere proprio per le “prove certe”?
E’ concettualmente e giuridicamente sbagliato affermare che i due ragazzi siano finiti in carcere per le “prove certe”.
Nella fase delle indagini preliminari può essere disposta la custodia in carcere solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza e per specifiche esigenze cautelari, ossia in caso di pericolo di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove e di fuga.
La “prova certa” è solo quella che viene assunta nel corso del dibattimento.
E in base alle “prove certe” acquisite nel corso del dibattimento (rinnovato in appello con l’acquisizione delle perizie) i due ragazzi sono stati considerati innocenti.
Lei crede che questo sia stato un processo influenzato dalla pressione mediatica e, conseguentemente dell’opinione pubblica?
La giustizia terrena è amministrata dagli uomini. E gli uomini, in quanto tali, possono subire delle pressioni psicologiche.
Questo processo ha avuto un’eco mediatica enorme. Non è peregrino ritenere che tutti coloro i quali, a vario titolo, hanno partecipato al processo di Perugia possano aver subito la pressione che i media hanno esercitato sul caso.
Marina Angelo
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