L’attaccamento dell’uomo alla natura e secoli di storia contadina si riversano nel presente ma, come potete immaginare, non trovano molto spazio soprattutto in questa imponente area metropolitana che fa da trait d’union tra Milano e tutte le altre città della Lombardia. Così, di questa linfa, si impregnano solo le piccole zolle che stanno ai margini delle strade, sotto gli svincoli della tangenziale, nel giardino delle villette a schiera o nei rimasugli di terreno a ridosso dei parchi pubblici che le amministrazioni comunali hanno dimenticato, troppo piccoli per essere edificate. Così, forte di un’indole coltivatrice, l’abitante dei sobborghi nel tempo ha imparato a farle proprie, terra di nessuno vuol dire terra di tutti, quindi anche mia, no? Così una baracca in lamiera un giorno, un recinto il giorno dopo, un cancelletto di fortuna con lucchetto e l’orticello abusivo da hinterland è servito. Stagione dopo stagione lo si nota sempre più rigoglioso e non si capisce il perché e il percome, il clima è quello che è e poi non si riesce a immaginare la qualità di un pomodoro nato e cresciuto tra il traffico dell’ora di punta, le piogge acide e il suolo infiltrato da chissà quali deflussi industriali. Cogli l’ortaggio di stagione, lo lavi e lo metti in tavola, fiero dell’aver strappato a una landa impossibile il frutto del legame con i tuoi avi, anzi degli avi che qui c’erano prima che tu arrivassi da chissà dove. Poi, per sfruttare al massimo il tuo fazzoletto di terra e ottimizzare la produzione, tenti anche la rotazione delle colture e trovi stratagemmi come appendere compact disc agli alberelli probabilmente a scopo di spaventapasseri, ed è facile immaginare il risultato visto da fuori. Unito alla sedia sfondata recuperata nella spazzatura e alla rete da materasso utilizzata come porta (ma questo è più una caratteristica degli orti della campagna ligure) restituisce un quadro ancor più desolante della cornice. Ma un piatto di insalata autoprodotta val bene l’occupazione di suolo pubblico, per non parlare del tempo che ci si può dedicare a respirare aria buona, in aperta periferia.
L’attaccamento dell’uomo alla natura e secoli di storia contadina si riversano nel presente ma, come potete immaginare, non trovano molto spazio soprattutto in questa imponente area metropolitana che fa da trait d’union tra Milano e tutte le altre città della Lombardia. Così, di questa linfa, si impregnano solo le piccole zolle che stanno ai margini delle strade, sotto gli svincoli della tangenziale, nel giardino delle villette a schiera o nei rimasugli di terreno a ridosso dei parchi pubblici che le amministrazioni comunali hanno dimenticato, troppo piccoli per essere edificate. Così, forte di un’indole coltivatrice, l’abitante dei sobborghi nel tempo ha imparato a farle proprie, terra di nessuno vuol dire terra di tutti, quindi anche mia, no? Così una baracca in lamiera un giorno, un recinto il giorno dopo, un cancelletto di fortuna con lucchetto e l’orticello abusivo da hinterland è servito. Stagione dopo stagione lo si nota sempre più rigoglioso e non si capisce il perché e il percome, il clima è quello che è e poi non si riesce a immaginare la qualità di un pomodoro nato e cresciuto tra il traffico dell’ora di punta, le piogge acide e il suolo infiltrato da chissà quali deflussi industriali. Cogli l’ortaggio di stagione, lo lavi e lo metti in tavola, fiero dell’aver strappato a una landa impossibile il frutto del legame con i tuoi avi, anzi degli avi che qui c’erano prima che tu arrivassi da chissà dove. Poi, per sfruttare al massimo il tuo fazzoletto di terra e ottimizzare la produzione, tenti anche la rotazione delle colture e trovi stratagemmi come appendere compact disc agli alberelli probabilmente a scopo di spaventapasseri, ed è facile immaginare il risultato visto da fuori. Unito alla sedia sfondata recuperata nella spazzatura e alla rete da materasso utilizzata come porta (ma questo è più una caratteristica degli orti della campagna ligure) restituisce un quadro ancor più desolante della cornice. Ma un piatto di insalata autoprodotta val bene l’occupazione di suolo pubblico, per non parlare del tempo che ci si può dedicare a respirare aria buona, in aperta periferia.
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