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Amarcord – di N. Losito

Creato il 15 aprile 2015 da Nictrecinque42 @LositoNicola

L’altro giorno, rimettendo in ordine uno scaffale della libreria nel mio studio milanese, ho ritrovato due riviste speditemi anni fa da Mirella, un’amica che vive a San Bernardino, un paese a quindici chilometri da Lugo di Romagna.

La rivista in questione si chiama Il Ponte, esce una volta all’anno a cura di volenterosi che abitano in quel borgo di poche anime, situato ai lati di una delle tante statali che attraversano il nostro bel paese. A San Bernardino ho vissuto per cinque anni, il tempo di finire il liceo scientifico a Lugo e iniziare l’università a Bologna. Anni belli e difficili che, sfogliando le due riviste edite nel 2009 e 2010, mi sono tornati con prepotenza alla memoria.

IlPonte

Nella copertina  del Ponte, sopra e sotto il titolo, è in evidenza quella che io considero una straordinaria metafora interpretabile in tantissimi modi. Partiamo dal suo significato letterale:

È stato perduto in San Bernardino
è stato perduto un buttazzo di vino,
chi lo trova beva il vino,
beva il vino, e restituisca il buttazzo…

La prima interpretazione che mi viene in mente è questa: sei capitato per caso a San Bernardino, una sperduta località della Romagna, hai trovato qualcosa di bello e qualcosa di brutto, cancella il brutto e ricorda il bello…

Ed è stato proprio così. Il primo impatto con gli abitanti di San Bernardino non fu dei migliori. Quando mio padre, appena nominato maresciallo, venne trasferito lì al comando della stazione dei carabinieri in un paese profondamente “rosso”, il fatto di essere il figlio di un’autorità governativa poco amata dalla sanguigna popolazione locale certamente non mi aiutò a far nascere buoni rapporti sociali con il vicinato; in più non capivo una parola di romagnolo. La conoscenza del dialetto bolognese mi servì ben poco: i 50 chilometri che separano San Bernardino da Bologna, in termini di linguaggio popolare, sono una distanza stellare.

Cosa mi ricordo di quegli anni?
Tutte le mattine prendevo al volo il bus che raccoglieva gli studenti di San Bernardino e di alcuni altri paesini della zona per portarli al Liceo Scientifico Gregorio Ricci Curbastro o ad altri istituti professionali di Lugo di Romagna. Al volo perché la mattina faticavo a svegliarmi e mia madre non mi lasciava uscire di casa finché non finivo la colazione che odiavo con tutto il cuore (caffelatte e pane secco, mica le merendine sfiziose che i bambini mangiano oggi…). L’autista del bus era diventato mio amico e così, per far capire a mia madre che non poteva fare aspettare troppo un mezzo pubblico, suonava più volte il clacson: in questo modo ogni tanto riuscivo a saltare l’odiata prima colazione.

Ricordo la Lambretta nuova fiammante  avuta in regalo per i miei sedici anni e la Topolino C stra-usata ottenuta come premio per la media dell’otto alla maturità che mi avrebbe permesso di entrare gratis a Ingegneria a Bologna e con tutti i libri del primo anno di università omaggiati dallo Stato a chi si era distinto durante i cinque anni di Liceo. Il primo giorno di guida "in solitaria" sulla Topolino ero così emozionato che mi lasciai tamponare "da fermo" da un’auto che, in retromarcia, stava parcheggiando sullo stesso lato della strada dove io mi stavo predisponendo per affrontare il mio battesimo da neo patentato. Non ebbi, cioè, la prontezza di spirito di segnalare con un colpo di clacson la mia presenza sulla carreggiata all’auto in manovra.

Ricordo le vacanze estive in campeggio a Porto Corsini, a due passi dal porto di Ravenna. Con la mia mini canadese, presa in affitto, e avendo pochi soldi in tasca, mi facevo adottare e benvolere dalle famiglie tedesche o francesi che avevano bellissime figliole cui tenere compagnia e alle quali insegnare i primi rudimenti sui fatti della vita… Molto spesso le mamme mi invitavano a mangiare al loro tavolo, forse per ringraziarmi delle “calorose” attenzioni che dedicavo alla loro progenie femminile.

L’unica nota stonata del mio quinquennio romagnolo fu la politica. La mia idiosincrasia per la cosa pubblica nasce proprio in quegli anni. Chi non la pensava "come loro" era un venduto, una persona poco intelligente, uno da tenere d’occhio.
C’era un personaggio politico che, all’epoca, era il più odiato in assoluto. Si trattava di Saragat. Costui – che poi divenne Presidente della Repubblica – non veniva mai chiamato per nome, ma a lui si riferivano con il termine spregiativo  de "Il traditore". Di sicuro addebitavano a lui la rottura del Fronte popolare, impedendo così alle forze di sinistra di impadronirsi, senza spargimenti di sangue, del potere in Italia.

Il prete e il gestore della locale Casa del popolo si guardavano sempre in cagnesco e a ogni mossa di uno seguiva subito quella, analoga, dell’altro. Fu così con la televisione. Il primo ad averla fu il prete. Una settimana dopo anche la Casa del popolo ebbe la sua televisione nuova fiammante a disposizione dei frequentatori che adoravano i quiz di Mike Buongiorno.
Io, seguendo le precise indicazioni di mio padre, evitavo di parlare di politica, le mie passioni erano la musica, lo sport, filare dietro alle ragazze, andare a ballare. Qui c’era poca scelta, per ballare occorreva frequentare le Case del popolo: solo loro avevano a disposizione grandi saloni e sapevano organizzare feste danzanti come si deve e con musica dal vivo. In questi “luoghi di perdizione”, pur sotto l’occhio vigile delle mamme sedute a bordo sala, qualche toccatina più o meno generosa veniva concessa dalle fanciulle a noi studenti con il testosterone a mille. Ma anche le ragazze, al riguardo, non scherzavano: anche a loro piaceva essere strizzate…

Faticai parecchio a fare amicizia con i ragazzi e le ragazze della mia età (ecco il brutto della faccenda), ma poi il mio buon carattere, la mia attitudine all’umorismo e alla battuta sagace vinsero l’iniziale ostilità e, nel giro di pochi mesi, entrai a far parte del gruppo che se ne fregava delle idee politiche e dei mestieri dei genitori. Con questi nuovi amici passai felicemente gran parte dell’adolescenza (ecco il bello della faccenda) a San Bernardino.

Sono passati più di 50 anni da quei giorni, eppure ricordo ancora i nomi e i volti di molti di loro: Fiorenzo, Bruno, Demetrio, Mirella, Diana, Rosalba, Francesco…

Che fantastiche le nostre scampagnate!

NicAnni50_2
 

Io sono quel (bel) giovane sulla sinistra seduto a fianco di Rosalba, la fanciulla che si sta sistemando i capelli.

A proposito di “bellezza”, in Romagna c’è un detto che ho sentito più volte pronunciare dalle mamme delle mie amiche, rivolto – benevolmente – a me:

L’è bel coma e cul dla padela…”

che significa: è bello come il fondo della padella. Ovviamente, siccome si scherzava, l’accento del motto era messo sulla parola cul  che, per salvaguardare il mio amor proprio, per voi ho tradotto con fondo.

Ma, a parte la battuta, all’epoca ero un ragazzino mica male. Lo si può notare nella foto seguente, dove ero stato invitato da un gruppo di pescatori, molto più anziani di me, a mangiare il pesce pescato con la bilancia in un capanno situato sulla riva di un fiume che attraversa le paludi ferraresi.

NicAnni50_1P

Questo ero io a 16/17 anni:

NicolaTondo

Il ricordo di quella giornata e dell’allegra comitiva è così vivo che, in bocca, ho ancora il sapore del pesce piccolo appena pescato, buttato nell’olio bollente e poi salato con abbondanza: la cosiddetta “frittura mista” che si mangiava tutta, teste e lische compresi. Per stemperare il salato sul palato c’era poi chi beveva un ottimo sangiovese accompagnato da spesse fette di formaggio pecorino semi-stagionato…

NicAnni50P

Termina così questo ricordo romagnolo. Se me ne verranno in mente altri, sarà un piacere raccontarveli.

Nicola

P.S. Ringrazio la rivista Il Ponte e i legittimi proprietari delle foto per avermi dato l’opportunità di rinverdire questo amarcord. La rivista è visionabile al sito web che si raggiunge cliccando qui.


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