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Eytan Fox, di radici israeliane, entra di forza nel mondo cinematografico occidentale, con un'opera forte e incisiva, discussa e criticata. "Yossi e Jagger" è un racconto vivissimo di amore omosessuale, ma è anche un profondo sguardo sulla guerra che non si vede, sul baratro che separa la vita e la morte, l'accettazione e la negazione, la pace e il combattimento, l'ombra e la luce, senza toccare le corde della banalità, ma delineando un mondo effiggiato da tanti piccoli tocchi umani, come pennellate.
"Yossi e Jagger" è un semi-documentario, girato con pochi mezzi e immerso completamente nella natura circostante, che fa capolino spesso, che sia nel sole che tramonta mentre una distesa di neve copre il suolo immacolato, o nel blu elettrico del cielo durante la notte. E la grande empatia che riesce ad attuare nei confronti dello spettatore sta proprio nell'assoluta naturalezza dell'impianto, sia visiva, quasi amatoriale, e quindi con quelle particelle imperfette che sgranano l'immagine, e recitativa, nell'insieme, con attori che diventano veri personaggi, mentre sono sulla scena con un trasporto e con un' immediatezza avulsa dal sistema impostato di matrice hollywoodiana. Quindi, pur essendo fruibilissimo, il film di Fox mantiene una conformazione propriamente israeliana e non scimmiotta il cinema occidentale, anzi pone in evidenza una prospettiva, quella dell'amore omosessuale nell'esercito, che precede di un decennio l'abolizione del "Don't ask, don't tell" nell'assetto militare statunitense. La tematica lgtb è il punto emotivo del film e sorprende per la freschezza e la credibilità naturale con cui viene portata sullo schermo. Film cult come "Brokeback Mountain" devono tantissimo alla forza "normalizzante" modulata con estrema partecipazione e intimità nel film di Fox. A questo proposito la coppia notissima Gyllenhall-Hedger deve, a sua volta, moltissimo a due attori come Ohad Knoller e Yehuda Levi, che disintegrano gli stereotipi, pur mostrando emozioni non dissimulate, ma profonde. Per entrambi una prova notevolissima. La pellicola è anche un "ditro le quinte" della guerra, nella sua dimensione più sporca, ma anche più ludica, con un cameratismo femminile e maschile insieme che ricorda una gita scolastica, e che non si mostra pietoso ma aperto, come nell'ultimo fotogramma, nonostante tutto, al sorriso. Qualche elemento didascalico non appesantisce la storia corale, anche perchè la durata, di poco superiore ai 60 minuti, alleggerisce e aumenta la carica poetica dell'opera.
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