Nel post "influenze amorose" abbiamo accennato al concetto di "stili di attaccamento" elaborato da John Bowlby come una delle possibili metafore che ci possono aiutare a capire l'importanza che ricoprono le relazioni affettive per quello strano animale che siamo; relazioni in cui, per dirla succintamente, a seconda di come siamo amati, apprendiamo ad amare, cosa che, evidentemente, ha importanti ricadute sulla nostra vita, segnandone in qualche modo il destino.
Come tutte le metafore, anche quella di Bowlby va presa tuttavia come un contributo tra i tanti e non certo come la verità; una delle possibilità esplicative che contribuisce a dare un senso o, meglio, più di un senso, al perché, secondo il nostro discorrere, ci innamoriamo di quella persona piuttosto che di un'altra.
Recenti studi, ad esempio, come quello degli psichiatri Amir Levine e Rachel Heller ("The New Science of Adult Attachment and How it Can Help You Find -and Keep- Love"), hanno dimostrato che almeno il 25% degli adulti modifica il suo stile di attaccamento nel corso della vita. Quindi, malgrado Bowlby, il quale sosteneva che il nostro stile di attaccamento ce lo portiamo fino alla tomba, è invece possibile rieducarsi all'amore, sconfiggendo le nostre modalità, i nostri stili improduttivi o addirittura patologici. Ciò testimonia, semmai ce ne fosse stato bisogno, la bontà e, spesso, vorrei dire, la necessità di tutti i possibili e immaginabili percorsi di aiuto a quelle persone che ricadono sempre nelle stesse inadeguate modalità affettive e, senza spiegarsi come, si innamorano sempre delle stesse donne e degli stessi uomini, ripetendo in ogni storia d'amore i medesimi meccanismi compromissori della relazione.Con questa rinfrancante consapevolezza, vedremo nei prossimi post quali sono, invece, nel bene e nel male, i profili di quel rimanente 75% di uomini e donne che non riesce, non può, non necessità o non vuole mutare i suoi stili di attaccamento, i suoi modi di amare e voler essere amato.