Amato Bros – Intervista al regista Giuseppe di Bernardo

Creato il 26 dicembre 2012 da Canicattivi @CaniCatTweet

Venerdì 28 dicembre alle 21.00, nei locali del teatro Teamus di via Antonino Uccello, sarà proiettato il documentario “Amato Bros” di Giuseppe Di Bernardo, al termine del quale vi sarà anche un’esibizione live dell’Amato Jazz Trio. Per l’occasione, abbiamo fatto quattro chiacchere con Giuseppe, in modo da far meglio conoscere l’autore ai cittadini canicattinesi, anche se le sue frequenti visite in paese l’hanno reso un po’ un nostro concittadino d’adozione.

Ricordiamo che l’ingresso alla proiezione ha un costo di 5,00 € e che l’incasso della serata servirà esclusivamente a finanziare l’opera di promozione del documentario. Per informazioni e prenotazioni, è possibile chiamare il numero 380 5471620.

Inoltre, alla proiezione sarà presente il Comitato Popolare per l’Istituzione dell’Anagrafe Pubblica degli Eletti e quindi, coloro che vorranno aderire alla raccolta firme, potranno farlo anche in questa occasione.

Andrea Uccello

Iniziamo la nostra intervista con una domandina semplice semplice: chi è e cosa fa nella vita Giuseppe Di Bernardo.

Faccio l’ insegnante di sostegno alle superiori e il documentarista.

Quando hai deciso di voler diventare un cineasta? E come mai hai scelto il genere, sicuramente meno commerciabile, documentaristico?

All’inizio la scelta del documentario per molti autori è un’opportunità dettata da una maggiore semplicità del linguaggio documentaristico e questo comporta anche una minor spesa economica per la realizzazione del progetto. Molti grandi registi hanno usato il documentario come laboratorio, anche per me è stato così. Se lavoro con la fiction spesso ho bisogno di ricostruire scenografie, lavorare con gli attori per la recitazione, bloccare il traffico se devo girare una scena in una zona abitata. Il cinema di fiction è una macchina chiassosa, è una specie di spettacolo teatrale già nella fase di realizzazione, prima ancora che arrivi sullo schermo. Col documentario c’è una maggiore intimità nel lavoro, il ché lo rende un viaggio profondamente diverso, anche nel rapporto coi personaggi.

Giuseppe Di Bernardo

Iniziamo col parlare della tua ultima opera, che interessa direttamente Canicattini. Com’è successo che un cittadino di Sciacca (AG), che vive a Ferrara, sia arrivato ad interessarsi a Canicattini Bagni e all’Amato Jazz Trio?

Ho un amico di Canicattini, anche se non c’ero mai stato. Ho deciso di raccontare la vicenda dei fratelli Amato quando ho sentito la loro storia. Ho trovato molto delle radici musicali della Sicilia, con un pizzico di picaresco. Tutto questo amalgamato da una genialità indiscutibile.

Nei mesi in cui sei stato a contatto con il Trio, che idea ti sei fatto dei fratelli Amato?

Il rapporto è nato come un rapporto professionale, ma poi è cambiato. Ovunque abbia proposto un loro concerto in posti in cui avevano suonato in anni passati, traspariva sempre il grande rispetto e la stima non solo per la formazione jazzistica, ma anche per le persone. E poi come ti dicevo c’è anche un elemento di “stranizza” e di originalità che prende sempre sia l’autore che gli spettatori, ed è retoricamente molto potente. Basti pensare alla figura di Loris, che fa il mago comico di professione ed ha una vena istrionica quasi felliniana; o a quella di Elio, che non guida l’auto, ma la usa solo per esercitarsi al trombone perché ha una buona acustica. Oggi considero ognuno dei fratelli – e a titolo diverso – degli amici.

Per chi, come me, ha avuto modo di conoscere Sergio, lo ricorda come un compagnone, un amico o uno di famiglia. Per te che l’hai conosciuto solo per via indiretta, cosa ti è rimasto di lui?

Devo dire non molto. Mio fratello è vivo, e percepisco di non aver potuto cogliere nella sua interezza la tragedia che ha investito la famiglia Amato. Penso spesso a quello che oggi sarebbero i fratelli Amato con Sergio. Però sospendo il giudizio di valore su ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere. Non si può pesare sulla bilancia un’assenza, si può solo congetturare. Ma la vita va avanti.

Il tuo viaggio nell’universo Amato ti ha portato a relazionarti con la scena musicale canicattinese. Da esterno, che impressioni ne hai tratto? Canicattini può essere davvero considerata “città della musica”?

Secondo me sì. Ho l’impressione che la veemente conflittualità che anima il paese Canicattini e che lo rende una specie di anomalia musicale virtuosa, al suo interno non sia sempre percepita come tale. La conflittualità è un valore, democratico ed evolutivo. Senza conflitto c’è la morte. E invece l’agonismo che subentra tra gruppi, manifestazioni, iniziative -se ben gestito- diventa un humus che fertilizza il tessuto musicale e sociale. Questo da fuori si percepisce molto bene. E aiuta a capirlo anche Paolino Cirinnà, storico musicante di bande e padre del sassofonista Rino Cirinnà, che nel documentario racconta in modo divertentissimo la competizione tra le bande dei vari paesi come un elemento vitale.

In questi giorni stai promuovendo Amato Bros tramite canali indipendenti, la fase successiva della distribuzione come si articolerà? Continuerai col circuito cinematografico o opterai per l’home video?

Non lo so ancora, ci stiamo lavorando.

Nelle tue produzioni passate ti sei occupato di immigrazione (Viaggio a Lampedusa, Il 3° Escluso), della situazione decadente della cultura in Italia (Teatri Interrotti) e, in un certo senso, di linguistica (Il Tempio delle Parole Morte). Ora ti sei dedicato alla musica e a come questa si intrecci con le storie delle persone. Il tuo prossimo passo quale sarà?

E’ allo studio un nuovo progetto sul tema della psichiatria.

Un giorno ti piacerebbe girare un film o ti vedi esclusivamente come un documentarista?

Mi piacerebbe. Anche perché, lavoro dopo lavoro scemano le ansie e aumenta il divertimento. E quindi vorrei confrontarmi con una sfida più complessa. Anche se è veramente difficile pensarci concretamente, specialmente in questo periodo di crisi economica.

Ultima domanda, pertinente al clima natalizio: secondo te il cinema deve essere necessariamente una forma d’arte e di comunicazione o è legittimo che sia pure una forma di svago con le sembianze del cinepanettone?

Il panettone lo mangio a casa, al cinema preferisco i popcorn. Anche se il mio è un discorso di generi cinematografici, non di valore. Non perché un film lo guardano in molti deve necessariamente essere vuoto o brutto. E poi fra trent’anni ci racconterà molto di come siamo oggi. L’importante è che il cinepanettone non diventi l’unico genere in circolazione.

Il sito del documentario: http://www.amatobros.it/

I trailer del film




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