Amazon in Italia? E-commerce, creatore del kindle (che da solo copre più del 60% del mercato USA dell’e-reader), mastodontica libreria virtuale. Il grande gruppo di Jeff Bezos, temuto dai grandi marchi dell’editoria mondiale per gli sconti che “propone” sulla sua piattaforma e amato da milioni di consumatori/lettori che con l’abbonamento mensile a 9,99 euro/mese possono leggere tutto quello che vogliono (solo all’interno del catalogo amazon), è anche un editore. Durante l’ultima fiera del libro di Francoforte, proprio amazon, attraverso uno dei suoi marchi (amazoncrossing) ha annunciato che investirà 10 milioni di dollari nei prossimi cinque anni nella pubblicazione di autori non di lingua inglese in USA. La notizia in sé non desta particolare scalpore per la somma (Simon & Schuster, una delle più antiche e grandi case editrici statunitensi, ha sborsato una somma simile per aggiudicarsi i diritti del libro di Amy Schumer) ma per l’oggetto dell’investimento. Negli USA solo il 3% dei titoli è relativo ad autori non di lingua inglese, come ci ricorda Alex Shepard (Culture News Editor del New Republic) e questo avviene non soltanto per i costi di traduzione e i diritti d’autore da pagare alle case editrici straniere, ma soprattutto perché questi costi aggiuntivi non assicurano quasi mai un rientro in termini economici, a meno che non si tratti di nomi già molto famosi fuori dagli Stases (un caso per tutti quello di Murakami Haruki). E se in Italia dire che un libro è commerciale è quasi un’offesa, negli Stati Uniti è un bel complimento e stare attenti ai ritorni economici di un libro non vuol dire necessariamente ignorarne la qualità. Perché allora amazon vuole investire in questa nicchia di mercato e diventare il maggior editore americano di narrativa straniera? Perché ha un’arma molto potente. Negli anni ha sistematizzato un’enorme quantità di dati su chi acquistava libri attraverso il suo portale, analizzandone i gusti e le preferenze. Così quando si trova a decidere se tradurre o meno in inglese un autore si domanda: che caratteristiche e stili di “consumo librario” ha l’autore? Che libro ha scritto? È un genere che ha trovato acquirenti nell’ultimo anno? Che tipo di persone comprerebbe questo libro? Poi va nel suo database e trova le risposte. Questo che è stato definito un “consumer-brand approach” è solo la punta dell’iceberg della “amazon way” che cerca di insediarsi fra l’editoria classica e il self-publishing (pescando spesso dai successi di quest’ultimo), scoprendo autori che sono sì un rischio perché poco conosciuti, ma non rappresentano un salto nel buio assoluto, perché passati al vaglio del DB amazon sui gusti dei lettori. Ad oggi non sappiamo se amazon vincerà questa sfida, nel frattempo apre anche in Italia la divisione editoria (ha iniziato le vendite dal 3 novembre), prima con titoli stranieri e poi con autori italiani, pescando anche in questo caso a piene mani dal self-publishing (amazon possiede due piattaforme di self-publishing: Kdp e CreateSpace).
Jeff Bezos
Se alcuni di questi titoli avranno successo potrebbero diventare i volumi che amazoncrossing proporrà ai lettori statunitensi, dimostrando i vantaggi di un sistema integrato e onnipresente come quello della creatura di Bezos, ma sarà anche un modo per testare un modello di offerta di contenuti che non passa per le librerie. Il sistema amazon, infatti, seppur immenso e globale, è un sistema chiuso che fa della sua piattaforma virtuale e del kindle, gli unici strumenti per accedere ai suoi contenuti. Non vedrete quindi i titoli italiani di amazoncrossing in libreria, ma secondo l’acquisition editor di amazon Italia (Alessandra Tavella), intervistata da Alessia Rastelli su La Lettura, questo non rappresenterà un limite all’arricchimento dell’offerta editoriale cui amazon punta come editore.link alla news su Sul Romanzo.