L’attacco di “Wounded Knee” lascia parzialmente intendere dove il gruppo di Minneapolis vuole andare a colpire. Copiosi assalti metallici, là dove scorie hardcore e metal si uniscono senza tregua in un connubio sì piacevole ma tutto sommato piuttosto prevedibile. Nei pezzi fanno alternativamente capolino fugaci rilasci chitarristici meno iperbolici uniti a intransigenti scorribande, “Slowbled” ad esempio è posa e cattiveria Brutal Truth ─ quindi mai del tutto scontata ─ e questo è già un pregio. Dunque la matrice punk affiora con decisione e qualche volta si ha pure la sensazione che si voglia perpetrare sottotraccia il solito verbo sabbathiano come fanno praticamente in molti, alla maniera degli Eyehategod (immaginatevi tutto l’album in modalità slow motion e vi troverete il fantasma di Toni Iommi che vi guarda in cagnesco), senza avere però il carisma della voce di Mike Williams e la chitarra di Jimmy Bower.
Il quartetto è artefice di una discografia ancora non ingombrante (due dischi, un ep, uno split e quest’ultima fatica, che ha il supporto della Relapse), ma ci sembra di capire che si perda troppo nell’amore per i propri modelli vanificando nella resa dei pezzi proprio quelle matrici originali. O forse è soltanto che un modo di fare musica come il loro ha determinate caratteristiche, e tali devono rimanere ─ un pezzo come “Unleashed” ha il buon sapore dell’anthem ─ ma tutto ciò non basta.
A conti fatti due sono le cose: se siete appassionati di spossanti scontri nel moshpit e credete nel verbo degli Ambassador Gun, vi farete un bel viaggio. Se invece cercate inaspettate evoluzioni stilistiche ed originalità a tutti i costi cambiate obiettivo, questi pezzi non fanno al caso vostro. Noi possiamo soltanto aggiungere che il gruppo sa certamente il fatto suo, ma non ci ha conquistati, perciò propendiamo per la seconda mozione. Rimandati al prossimo giro.