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La crescente attenzione dedicata dalla pubblica opinione ai problemi legati allo sviluppo sostenibile ed ai cambiamenti climatici ha ricevuto di recente una notevole accelerazione a causa della rapidità con cui negli ultimi anni l’equilibrio ambientale di larga parte del pianeta appare compromesso da modelli di sviluppo con esso incompatibili. La disciplina ha oramai da tempo una sedimentazione internazionale, europea, nazionale e regionale che ha determinato l’insorgere, a causa di lacune e contraddizioni, di numerose, e non sempre risolte, difficoltà interpretative. I problemi sono quelli tipici di una materia che non si presta a formule unificanti. Alcuni sono legati alla rilevazione scientifica dei dati ed alle loro implicazioni in termini giuridici in un ordinamento tipicamente multilivello. Altri sono legati ai loro risvolti economici. Altri ancora riguardano i profili della regolazione e del mercato. Con riferimento a tale scenario il contributo che segue intende offrire una ricostruzione dei problemi connessi alla nuova e complessa frontiera dei cambiamenti climatici utilizzando come prospettiva interpretativa unitaria le questioni poste dalla disciplina internazionale, europea e nazionale.
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Il terzo millennio si apre all’insegna dei cambiamenti globali del pianeta causati dal modello economico conseguente all’industrializzazione dei paesi occidentali a partire dalla rivoluzione scientifica del XVI secolo. Il primo segnale dell’impatto dell’uomo sull’ambiente è rappresentato dai cambiamenti climatici legati alla emissione dei gas ad effetto serra. L’uso dei combustibili fossili ha infatti alterato la composizione dell’atmosfera ed il ciclo naturale del carbonio.
Attraverso il meccanismo della fotosintesi, l’anidride carbonica viene fissata dalle piante e ritorna in circolazione con i processi di decomposizione delle medesime o di uso della legna; la combustione di petrolio, carbone e gas mette in circolazione una quantità anomala di anidride carbonica accumulata in tempi geologici nel sottosuolo in miliardi di anni.
All’anidride carbonica si aggiungono gli ossidi di azoto usati come fertilizzanti in agricoltura e il metano prodotto da attività umane come le risaie, l’allevamento bovino o le perdite dall’estrazione del medesimo dal sottosuolo.
Altri fenomeni legati al modello industriale causano seri problemi all’ambiente: la produzione di rifiuti che non tornano nel ciclo biogeochimico ma che si accumulano sulla superficie terrestre, l’immissione nell’ambiente di molecole di sintesi di cui è noto l’effetto immediato ma non altrettanto noto è l’effetto a lungo termine quando si combinino con altre molecole con effetti potenzialmente dannosi all’uomo, alle piante ed agli animali.
Alla globalizzazione di tipo ambientale si somma la globalizzazione di tipo economico, che tende alla creazione di un unico mercato globale, alla perdita delle peculiarità di tipo culturale sviluppate in millenni di civiltà con soluzione adatte alle caratteristiche ambientali di ciascun territorio, allo spostamento dei centri decisionali presso le grandi concentrazioni di tipo economico finanziario – che sono ormai i decisori a livello planetario – con una modesta capacità dei governi di intervento in decisioni che coinvolgono la vita di miliardi di persone.
Certamente, a fronte di questi aspetti negativi, il modello basato sulla conoscenza scientifica, tradotta poi in capacità tecnologica, ha avuto effetti positivi sullo standard di vita di quei paesi che maggiormente ne hanno usufruito sconfiggendo lo spettro della fame e delle carestie, allungando la speranza di vita, riducendo la fatica fisica, riducendo drasticamente l’impatto delle patologie, creando attraverso l’alfabetizzazione una maggior coscienza di se’ e del mondo che ci circonda.
La fruizione di tali benefici da parte di circa il 10% della popolazione mondiale pone ulteriori interrogativi e mette in moto processi di difficile gestione come quello delle grandi migrazioni attraverso il pianeta. D’altronde l’impatto visibile del cambiamento globale mette in evidenza come il modello adottato non sia trasferibile sic et simpliciter a tutta la popolazione del pianeta, che anela peraltro ad ottenere gli stessi benefici, ma a condizione di non mettere a repentaglio la sostenibilità del pianeta. Agli inizi del terzo millennio è dunque necessaria una riflessione a tutto tondo su questi aspetti, sulle scelte da effettuare per il futuro, sui tempi necessari per un cambiamento dei modelli adottati senza tuttavia sconvolgimenti improvvisi che avrebbero lo stesso impatto di una guerra mondiale.
di Gianpiero Maracchi
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