Trovo Gus Van Sant uno dei registi contemporanei più interessanti da analizzare. E' un artista stilisticamente poliedrico, capace di passare da film più sperimentali come " Elephant" e " Paranoid Park" a progetti certamente più Hollywoodiani come " Il genio ribelle" o il recente " Milk". Benchè preferisca di gran lunga il Van Sant sperimentale trovo molto interessante questa versatilità, che è arrivata alla piena maturazione con un film commovente e attuale quale " Milk" dove, molto spesso, si nota il pallino del regista "sperimentale" ( basti pensare alla sequenza dello specchio, verso il finale). Ma cosa si intende per sperimentale? Si può definire per esempio un " Paranoid Park" film sperimentale? Sicuramente viene messa in scena una storia altamente introspettiva e controversa dove la grande abilità registica sta nel riuscire a trasmettere perfettamente l'angoscia, gli stati d'animo del protagonista, tanto da farla diventare una pellicola fortemente intimista. Eccolo il termine: intimista. Van Sant non giudica moralisticamente i suoi personaggi, non ha intenti demagogici e giudizievoli: pensate a " Elephant": viene rappresenta la strage del liceo di Columbine, senza moralismi, senza etichette educative: Van Sant non vuole giudicare, vuole solo fotografare. Una fotografia, col suo gelo, la sua freddezza, la sua inquietudine, è sicuramente molto più dura da digerire di un film volutamente "schierato" come può essere un " Bowling a Columbine" di Moore, che racconta della stessa strage. Ma questo è un discorso più ampio, che riguarderebbe decenni di arte populista e demagoga. L'arte deve dare un messaggio o far interpretare un messaggio? L'arte deve educare o fotografare? Van Sant dà la sua risposta in " Elephant" che, secondo me, è molto più efficace della "demagogia cinematografica" di Moore o di tanti altri. Pensate al finale di " Elephant": è gelido, di una freddezza allucinante, è una vera e propria coltellata nel cuore dello spettatore, ma non ha l'arroganza di chi vuole impartire una sua morale, anzi: lascia libero lo spettatore di interpretare, di farsi una sua opinione. Preferisco di gran lunga un regista che fotografa a un regista che propaganda. Una fotografia, sia in " Elephant" che in " Paranoid Park" si trasforma in un ritratto psicologico, introspettivo, fisiologico e antropologico della violenza, degli istinti, dell'uomo. In maniera lenta e originale Van Sant ci guida nel cuore dei suoi personaggi: come dimenticare, per esempio, la scena della doccia in " Paranoid Park"? Quella scena mi colpì moltissimo per quanto fosse dilatata, esasperata, ma così fortemente empatica da emozionare, raggelare, commuovere. Esatto, è uno stile empatico, che ti porta ad immedesimarti, a ragionare, a soffrire. E quando un regista riesce a stabilire un rapporto empatico col suo pubblico allora avviene una vera e propria magia. Ricordo che quando vidi " Paranoid Park" tutta l'analisi dello stato d'animo del protagonista mi ricordò molto un altro piccolo caso filmico risalente a qualche tempo prima, " Mean Creek", altra pellicola tutta improntata su sensi di colpa e angosce in seguito a una determinata azione. Pur trattandosi di due ottimi film, contenutisticamente entrambi ti arrivano dritti al cuore, filmicamente " Paranoid Park" è un caso sicuramente più interessante, che va visto, digerito, e rivisto.Sperimentare vuol dire provare, tentare, raccontare una storia con uno stile nuova, fresco, innovativo e Van Sant ci riesce perfettamente. E va elogiato ancora di più perchè, dall'altra parte, riesce a regalarci un gioiello come "Milk", tradizionale registicamente ( se si escludono alcune sequenze del suo alter-ego sperimentale) ma indubbiamente innovativo e progressista nel contenuto. " Milk" racconta di una speranza, di un uomo che fece la differenza, che lottò per i diritti degli omosessuali, che cercò di cambiare le cose: un film in linea col nuovo "new deal" di Obama, non per niente favorito agli Oscar. Una pellicola che consiglio vivamente, con uno Sean Penn fantastico.
Magazine Cinema
Ambivalenze registiche: Gus Van Sant da "Paranoid Park" a "Milk"
Creato il 09 febbraio 2009 da Samuelesestieri
Trovo Gus Van Sant uno dei registi contemporanei più interessanti da analizzare. E' un artista stilisticamente poliedrico, capace di passare da film più sperimentali come " Elephant" e " Paranoid Park" a progetti certamente più Hollywoodiani come " Il genio ribelle" o il recente " Milk". Benchè preferisca di gran lunga il Van Sant sperimentale trovo molto interessante questa versatilità, che è arrivata alla piena maturazione con un film commovente e attuale quale " Milk" dove, molto spesso, si nota il pallino del regista "sperimentale" ( basti pensare alla sequenza dello specchio, verso il finale). Ma cosa si intende per sperimentale? Si può definire per esempio un " Paranoid Park" film sperimentale? Sicuramente viene messa in scena una storia altamente introspettiva e controversa dove la grande abilità registica sta nel riuscire a trasmettere perfettamente l'angoscia, gli stati d'animo del protagonista, tanto da farla diventare una pellicola fortemente intimista. Eccolo il termine: intimista. Van Sant non giudica moralisticamente i suoi personaggi, non ha intenti demagogici e giudizievoli: pensate a " Elephant": viene rappresenta la strage del liceo di Columbine, senza moralismi, senza etichette educative: Van Sant non vuole giudicare, vuole solo fotografare. Una fotografia, col suo gelo, la sua freddezza, la sua inquietudine, è sicuramente molto più dura da digerire di un film volutamente "schierato" come può essere un " Bowling a Columbine" di Moore, che racconta della stessa strage. Ma questo è un discorso più ampio, che riguarderebbe decenni di arte populista e demagoga. L'arte deve dare un messaggio o far interpretare un messaggio? L'arte deve educare o fotografare? Van Sant dà la sua risposta in " Elephant" che, secondo me, è molto più efficace della "demagogia cinematografica" di Moore o di tanti altri. Pensate al finale di " Elephant": è gelido, di una freddezza allucinante, è una vera e propria coltellata nel cuore dello spettatore, ma non ha l'arroganza di chi vuole impartire una sua morale, anzi: lascia libero lo spettatore di interpretare, di farsi una sua opinione. Preferisco di gran lunga un regista che fotografa a un regista che propaganda. Una fotografia, sia in " Elephant" che in " Paranoid Park" si trasforma in un ritratto psicologico, introspettivo, fisiologico e antropologico della violenza, degli istinti, dell'uomo. In maniera lenta e originale Van Sant ci guida nel cuore dei suoi personaggi: come dimenticare, per esempio, la scena della doccia in " Paranoid Park"? Quella scena mi colpì moltissimo per quanto fosse dilatata, esasperata, ma così fortemente empatica da emozionare, raggelare, commuovere. Esatto, è uno stile empatico, che ti porta ad immedesimarti, a ragionare, a soffrire. E quando un regista riesce a stabilire un rapporto empatico col suo pubblico allora avviene una vera e propria magia. Ricordo che quando vidi " Paranoid Park" tutta l'analisi dello stato d'animo del protagonista mi ricordò molto un altro piccolo caso filmico risalente a qualche tempo prima, " Mean Creek", altra pellicola tutta improntata su sensi di colpa e angosce in seguito a una determinata azione. Pur trattandosi di due ottimi film, contenutisticamente entrambi ti arrivano dritti al cuore, filmicamente " Paranoid Park" è un caso sicuramente più interessante, che va visto, digerito, e rivisto.Sperimentare vuol dire provare, tentare, raccontare una storia con uno stile nuova, fresco, innovativo e Van Sant ci riesce perfettamente. E va elogiato ancora di più perchè, dall'altra parte, riesce a regalarci un gioiello come "Milk", tradizionale registicamente ( se si escludono alcune sequenze del suo alter-ego sperimentale) ma indubbiamente innovativo e progressista nel contenuto. " Milk" racconta di una speranza, di un uomo che fece la differenza, che lottò per i diritti degli omosessuali, che cercò di cambiare le cose: un film in linea col nuovo "new deal" di Obama, non per niente favorito agli Oscar. Una pellicola che consiglio vivamente, con uno Sean Penn fantastico.
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