1993: Short Cuts di Robert Altman
Leone d’Oro alla Carriera nel 1996, Oscar Onorario nel 2006: il regista forse più anticonformista e «cattivo» di Hollywood, scomparso lo stesso anno dello strameritato riconoscimento dell’Academy Award.
“Robert Altman, l’adorabile odioso d’America, che non seguiva le tendenze del cinema. Nessuno è riuscito a superarlo. Il maestro delle perfide commedie corali, un simpatico mostro cinematografico, sapiente nell’uso del sarcasmo e fortemente ammirato da critica e pubblico” ha scritto Fabio Secchi Frau. Ogni sua opera ha suscitato ammirazione e plauso: basti pensare a Mash, Nashville, Jimmy Dean, Kansas City, Gosford Park, Radio America… In tutte abbiamo un mirabile campionario di umanità, perfettamente descritto senza essere mai giudicato (1), in cui ogni spettatore può ritrovarsi: poetiche, amare, sarcastiche, irriverenti ma sempre profondamente vere e sincere nel ritrarci nel bene e nel male.
America oggi è senz’altro uno dei suoi lavori più giustamente celebrati: “Film corale molto bello” (La Stampa), “Anche dopo tre ore, rimaniamo stregati” (Il Giornale)“Bellissimo film” (Repubblica), “Straordinario valore spettacolare” (Corriere della Sera)“Un film di oltre tre ore… talmente ricco di spunti, talmente ben costruito da suscitare incondizionata ammirazione” (Il Sole-24 Ore), “Film straordinario” (L’Unità), “Un capolavoro” (Il Tempo), “Uno dei migliori film sulla fine del millennio… Verrà consultato, tra cinquant’anni, per capire come erano gli umani, alla fine del secondo millennio” (Walter Veltroni)
Solitudine, aggressività, sentimentalismo, confusione, smarrimento, disagio, immaturità, depressione, miseria morale, profonda infelicità… Di questo (e di tanto altro ancora) si parla in questo film che intreccia mirabilmente dramma e riso e che Altman ha tratto dai racconti di Raymond Carver, mescolandoli e fondendoli in una cornice altamente allusiva (“cornice che inquadra tre giorni di una piccola apocalisse tra un volo di elicotteri violento e mozzafiato… e un terremoto di settimo grado sufficiente a dare uno scossone ai sentimenti e alle vite – ma non ancora l’atteso Big One che biblicamente minaccia Los Angeles-Babilonia”, Irene Bignardi). Uno dei lavori più pessimisti del grande regista. Un affresco in cui salvezza e redenzione sono impossibili: ma quello di Robert Altman non è cinismo, è -come giustamente sottolinea Roberto Escobar- “dolore e rabbia”.
Che dire dello stupefacente stuolo di attori, uno più bravo dell’altro? Tutti premiati in blocco (come era doveroso) ai Golden Globe e al Festival di Venezia, tutti perfetti nei rispettivi ruoli, tutti meritevoli di plauso incondizionato.
note
(1) “…i personaggi il regista, invece di ridicolizzarli o distruggerli, li osserva con una precisione assorta che trasmette senza enfasi amarezza, empatia e forse tenerezza” (Mario Sesti).
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