American Cities alla Casa dell’Architettura

Creato il 06 aprile 2013 da Carla Fiorini

Sarà inaugurata mercoledì 10 aprile alle ore 18.00 la mostra fotografica American Cities,
curata da Camilla Boemio + AAC e promossa dalla Casa dell’ Architettura.
Esposte immagini di William E.Jones e Catherine Opie, artisti americani di fama
internazionale che hanno dedicato una parte importante della loro attività allo studio delle
aree industriali dismesse e dei centri urbani in declino. In mostra foto mai viste in Italia: la
serie Chicago (C.Opie) già esposta nel 2008 al Guggenheim, con immagini che raccontano la
rinascita del centro storico della fiorente citta dell’Illinois e quasi in contrapposizione, la serie
di fotografie More American Photographs (W.E.Jones), di cui saranno proiettate solo
l’immagini che sono espressione di un’ampia gamma di sentimenti, dal desiderio nostalgico di
ricostruire, allo straniamento per la perdita d’identità dei luoghi.
L’esposizione è completata dal video Shoot Don’t Shoot(W.E.Jones), sequenze di file digitali
a colori, (2012 dur. 4 min., 33 sec.), in cui le architetture degli anni settanta evocano
contraddizioni e ricordi.


Per la mostra alla Casa dell’Architettura la curatrice Camilla Boemio ha scelto la serie
Chicago 2004, composta da immagini in cui non compaiono persone, scattate da Catherine
Opie nel cuore della notte per sottolineare l’orizzontalità dell’ambiente urbano. Il punto di
vista è quello della persona che cammina per le strade .
Come nelle rassegne dedicate ad altre città americane l’autrice ha evidenziato strutture
architettoniche comunemente ignorate: una corsa verso il basso della chiesa, i binari che
spariscono sotto gli edifici, gli autobus ed i rimorchi in un parcheggio quasi vuoto e una
sezione sotterranea di Wacker Drive (importante strada di Chicago). Come nuovi soggetti ha
incluso alcuni edifici emblematici della città, ma che sono in qualche modo inferiori a quelli
più autorevoli come monumenti architettonici. Una immagine si concentra sul ponte del
parcheggio a spirale a ridosso del John Hancock Center, piuttosto che sul grattacielo. Un altro
scatto mostra l’ingresso del Palazzo di Rookery avvolto da impalcature, celando la facciata
ottocentesca dell’edificio e la sua hall, opera di Frank Lloyd Wright.
In questo lavoro la Opie approfondisce il genere di bellezza dell’artista romantico che finora
aveva utilizzato solo per le impostazioni naturali, come per la serie Surfers( del 2003).
Il video Shoot Don’t Shoot(W.E.Jones) è l’adattamento di un film didattico sull’applicazione
della legge che addestra gli ufficiali di polizia a decider d’istinto se far fuoco o meno su
qualcuno. In questa sequenza il sospettato “tipo” corrisponde alla descrizione della didascalia:
“Uomo di colore che indossa una maglietta rosa e pantaloni gialli….”2
In questi lavori entrambi gli autori inquadrano il tema dell’architettura puntando l’obiettivo
sulle ex metropoli industrializzate statunitensi, mentre è in atto il processo dissolutore del
loro tessuto urbano conseguente alla dismissione delle fabbriche.
Un presente che ricorda gli scenari post apocalittici immaginati dallo scrittore Philip Dick:
fabbriche diroccate, orti urbani, strade vuote, case abbandonate con le mura sventrate per
recuperare il rame dei cavi elettrici, macerie, il sopravvento della natura selvaggia, grattacieli
art déco in un downtown senza vita. E’ quello che accade oggi in città del Midwest e del
Nordest degli Usa, a Cleveland e Detroit, come a Flint e a Buffalo, fino Youngstown; la “città
dell’acciaio” in cui negli anni Trenta abitavano circa 170mila persone e oggi ne restano a mala
pena 66mila, simbolo della crisi dell’Ohio, stato per decenni ricco e influente. Queste ex
capitali industriali della Rust Belt, un tempo fiorenti luoghi di produzione in cui erano diffusi
benessere e speranze, oggi vivono un’agonia economica, sociale e demografica di proporzioni
colossali che gli ha conferito l’aspetto delle cosiddette città-arcipelago, definizione coniata
dall’architetto Oswald Ungers per Berlino e con cui oggi si definisce il possibile futuro di
Detroit. Metropoli che avrà un centro polifunzionale più o meno densamente popolato e
tutt’intorno una serie di nuclei urbani più o meno densamente popolati, circondati da terreni
restituiti alla natura e all’agricoltura urbana.


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