THE AMERICAN FOLK BLUES FESTIVAL 1962-1966
Ho visto la luce! L’ho vista un’altra volta. Non credevo, davvero, potesse succedere di nuovo di provare quelle forti emozioni che mi aveva procurato il vedere Paul Butterfield soffiare dentro la sua armonica o Muddy Waters cantare nel film “The Last Waltz” eppure, a quasi vent’anni di distanza, mi sono di nuovo innamorato del Blues.
L’attore americano James Stewart descrivendo il cinema una volta disse che i film sono “pezzetti di vita”, ed è vero, il cinema è immortalità, chi vive dentro ad un film non morirà mai. La stessa cosa, forse, si potrebbe dire dei dischi ma le registrazioni sonore, si sa, sono come voci nel buio, non hanno corpo… Alzi la mano chi non ha mai sognato di vedere un filmato nel quale Robert Johnson incide una delle sue “famose” 29 canzoni (ma la stessa cosa si potrebbe dire della nostra “mitica”, cantante popolare Giovanna Daffini). Nessuno filmò Robert Johnson, nessuno andò giù nel Mississippi per metter su pellicola quello che si suonava nei juke joint, quei localacci malfamati dove il blues “si è fatto le ossa”. Adesso però c’è un film che rende giustizia e porta emozioni nel cuore di chi non ha vissuto quella grande epopea che fu l’American Folk Blues Festival. Negli anni sessanta questo “carrozzone” itinerante composto dai migliori artisti blues di quel tempo, incendiò l’anima di decine di musicisti in tutta Europa. In Inghilterra, l’impatto fu talmente forte da fare esplodere quasi contemporaneamente il fenomeno del British Blues.
Con questo film possiamo finalmente vedere quello che per anni abbiamo soltanto immaginato. Pensate, davvero, all’effetto che può avere su di un appassionato di musica popolare afro americana, di Blues, il poter vedere i propri “eroi” al meglio della loro forma, suonare e cantare le loro canzoni più famose, che per uno strano scherzo del destino, sembrano brani del tutto nuovi. Sono le stesse canzoni solo che stavolta le “vedi”!. E poi è anche una questione di giustizia che finalmente mette sullo stesso piano gli appassionati di blues di ogni latitudine. Gli ancora giovani Muddy Waters, Howlin Wolf, T- Bone Walker, John Lee Hooker, Sonny Terry, Brownie McGhee e Lightin’ Hopkins che si esibiscono al fianco di artisti seminali e leggendari come Big Joe Williams, Sippie Wallace, Roosvelt Sykes e soprattutto il grande Sonny Boy Williamson, poco prima che la vecchiaia e le malattie li portassero via per sempre. Le canzoni “miracolosamente” filmate dalla televisione tedesca sono in questo film in versioni completamente inedite. Essere al festival nel 1965 ti poteva permettere di “vedere” qualcosa di incredibile, come ad esempio Big Mama Thornton, Big Walter Horton (un altro dei miei eroi), J. B. Lenoir, Doctor Ross e John Lee Hooker (si proprio lui!) suonare l’armonica tutti nello stesso brano, ballando mentre aspettano il loro turno di assolo, come se fossero davvero in Texas, a Chicago o nel Mississippi. Ad accompagnarli un giovanissimo Buddy Guy e “l’inventore della batteria blues” il mitico Fred Below. Guardando questo film ti senti veramente nei panni di John Mayall, Eric Clapton, i Rolling Stones e centinaia di altri musicisti inglesi che hanno avuto la fortuna di vedere tutto questo “ben di Dio” quarant’anni prima di noi.
E se la visione di questo film ha avuto su di me un effetto “devastante” nonostante la mia età non sia più quella di un ragazzo, posso solo immaginare cosa avranno provato negli anni sessanta i blues lovers a “vedere” il grande Sonny Boy accompagnare il giovane (e a volte, sigh, un po’ criticato dai “puristi” dell’epoca che non apprezzavano e non capivano il suo folk blues elettrificato) Muddy Waters, in una swingante versione della sua “Got my mojo working”.
Beh, guardare Sonny Boy seduto che suona l’armonica e canta la stessa canzone che, cento volte noi tutti, appassionati di blues, abbiamo cantato, è qualcosa di difficile da descrivere con le parole… Vedere il viso compiaciuto dello stesso Muddy Waters (un maestro per la mia generazione) quando divide il palco con i suoi eroi Victoria Spivey e Lonnie Johnson, o ammirare Junior Wells mentre suona “Hoodoo man” accompagnato non da Buddy Guy ma da un bravissimo (e da sempre sottovalutato) Otis Rush , sopra il tappeto musicale creato dal contrabbasso del grande (anche di dimensioni) Willie Dixon e dal piano di Otis Spann e Memphis Slim è davvero, davvero emozionante!.
Guardare il vecchio, un po’ curvo e dinoccolato Sonny Boy che presenta il poco più che ventenne Hubert Sumlin accarezzandogli la spalla, è un momento che ti fa trovare (e tu sai perché) con gli occhi lucidi.
Ma la cosa che davvero respiri come dolce, magica e toccante guardando questo film, è l’atmosfera che c’è tra i musicisti che compongono la carovana del festival: un’atmosfera piena di soddisfazione perché finalmente le loro canzoni vengono amate e rispettate da tutti, al di là del colore della pelle. A quell’epoca in America, era ancora difficile per un nero suonare il blues al di fuori dei soliti “giri” destinati alla gente di colore. Guardando Sonny Boy Williamson che è arrivato al festival dopo una vita intera dedicata al blues, si vede benissimo che è piacevolmente frastornato ed emozionato, quando alla fine delle sue esibizioni gli applausi rasentano l’ovazione.
In quegli anni, nel suo paese, Sonny Boy era davvero un signor nessuno e qui in Europa il suono della sua armonica blues era apprezzatissimo nei teatri dove di solito si eseguivano brani di Mozart e Beethoven.
E’ stato solo dopo la bellissima epopea dell’American Folk Blues Festival che gli americani si accorsero di che tesoro avessero in casa. Un tesoro che quarant’anni dopo, farà piangere di commozione un musicista “consumato” mentre guarda uscire dal televisore e suonare per lui gli “eroi” dell’American Folk Blues Festival.