E' ormai da qualche tempo che si sente parlare della decisione da parte di HBO (chi segue le serie televisive dell'emittente americana sa di cosa parlo) di portare il tv il romanzo culto di Neil Gaiman, American Gods. Per i fan, gli amanti del fantasy e i lettori di bocca buona sarà stata una notizia da prima pagina del notiziario all'ora di pranzo, per i detrattori l'ultima occasione mancata per non aprire bocca e per tutti gli altri... credo che a tutti gli altri non sia importato poi così tanto. Ora, al di là di quanto mi abbia eccitato una notizia come questa, penso sia ancora prematuro parlarne. Non è mai tardi, invece, per parlare della controparte cartacea, quel romanzo epico incentrato sulla strana guerra su suolo americano tra vecchie e nuove divinità delle vecchie e delle nuove religioni.
Chi è Neil Gaiman? Se vi siete posti questa domanda, allora c'è qualche problema di fondo: oltre ad essere uno dei romanzieri fantasy e uno degli scrittori più quotati al mondo (Nessun Dove, Stardus), il fumettista creatore della serie Sandman, del romanzo per ragazzi Coraline e dello spin of a fumetti Angela (della serie culto Spawn), è anche fortunato sceneggiatore (un episodio di Dr. Who, il lungometraggio La Leggenda di Beowulf, Stardus il film). Insomma, chi più ne ha più ne metta. Uno che non si è mai limitato a scrivere storie ma che ha sempre creato veri e propri universi. American Gods è stato pubblicato nel 2001 in patria e nel 2003 in Italia. Qui in Italia non se lo sono cagato in molti, in patria è stato un successo. I premi vinti parlano per lui: premio Hugo Award, Nebula Award, Bram Stoker Award.
La storia narrata è quella di Shadow, appena uscito di prigione e avvicinato da un uomo che si fa chiamare Wednesday. Wednesday è a capo di una fazione di antiche divinità (o meglio, dell'incarnazione americana di antiche divinità) che lotta per sopravvivere contro quelle nuove (Internet, televisione, pubblicità). In altre parole quello che viene rappresentato nel romanzo è lo scontro tra passato e presente, tra vecchio e nuovo e si sa, ci vuole poco prima che il nuovo diventi vecchio. Questo perché l'umanità è molteplice e varia, mutevole e instabile. Si aggrappa a tutto e poi quel tutto lo abbandona quando non ne ha più bisogno. Credenze popolari, religioni, necessità, bisogni. Tutto collegato. Gli Stati Uniti sono il paese del melting pot, quello delle diverse culture e razze amalgamate tra loro. Il sogno americano parla proprio di questo: il ricominciare da zero, il farsi da se, il far parte di qualcosa di più grande senza per questo dimenticare il proprio io individuale. Forse American Gods parla del fallimento di quel sogno. Lo fa a pezzi. Tra le altre cose. Perché c'è anche il ritratto di un'umanità vista attraverso le sue credenze, che sfumano soffocate dalla vita reale, più tangibile e gestibile. Stiamo parlando di un poema epico negli anni 2000, in prosa, fresco e ironico ma allo stesso tempo drammatico e terribile. Storie che come i rami di un albero si riuniscono al tronco principale. Storie di divinità dimenticate ma che come esseri umani si attaccano alla vita e cercano di sopravvivere nel substrato sociale, metropolitano. E questo è proprio un romanzo fantasy sub-metropolitano, un po' come il Nessun Dove ambientato in un mondo sotterraneo tra le fondamenta londinesi.
Attraverso un intreccio ben gestito - ed è qui che si nota la grandezza di un autore, perché si tratta di un intreccio immenso - e attraverso un ritmo sempre sostenuto, più storie si alternano, più personaggi parlano e alla fine resta il senso di un'epopea moderna che rimane impressa nell'immaginario del lettore. Se la serie tv sarà anche solo un quarto del romanzo (a scriverla ci ha pensato Gaiman stesso), ne vedremo delle belle.