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AMERICAN HORROR STORY (2011)
Ideatori: Ryan Murphy, Brad Falchuk
Attori: Connie Britton, Dylan McDermott, Evan Peters,
Jessica Lange, Frances Conroy, Denis O'Hare
Paese: USA
Un soggetto simile per una serie televisiva è decisamente insolito. Il solo fatto di averlo proposto è degno di nota. Certo la FX, emittente televisiva che ha trasmesso la prima stagione di "AHS", non doveva farsi notare ulteriormente dopo “The Shield”, tanto che si fa fatica a parlarne male, anche quando trasmette prodotti assai deboli come “Justified”. Peraltro la FX si distingue anche per "Nip/Tuck", serie originale e dal gusto, foss'anche solo estetico, innegabile creata proprio da uno degli ideatori di "AHS", Ryan Murphy. Non è infatti difficile scorgere qua e là elementi comuni ad entrambe le serie, gli stessi che le rendono riconoscibili e valide.
L'horror di "AHS" non ha pretesa alcuna, è l'equivalente di quel cinema di genere da vedere senza impiegare alcun neurone. Non dovrebbe essercene bisogno ma è sempre bene specificare che quanto appena scritto non si traduce in 'prodotto di serie B', necessitando il muoversi in un genere simile un impegno niente affatto indifferente. Rendere affascinante e coinvolgente una storia non lo è mai, a dire il vero, specie se la stessa non ha dalla sua spunti di riflessioni in grado di catturare l'interesse di chi guarda; e fortunatamente spunti di riflessioni il nuovo prodotto della FX non ne ha neanche per sbaglio.
È anzi una delle più enormi commistioni di cliché che si sia mai vista. Tutto l'horror più classico e “scontato” qui lo si ritrova senza troppi sforzi. Se ne accorge anche chi, come chi scrive, del genere in questione non sa poi molto. Già il solo dare un'occhiata veloce alla trama è in questo senso più che sufficiente. La casa vecchia, enorme e infestata c'è; i delitti in essa perpetrati ci sono; l'ignara famigliuola che decide, piena di speranze in un nuovo inizio, di trasferirsi nella stessa anche: Ben (McDermott) e Vivien (Connie Britton), con la figlia Violet (Taissa Farmiga). Ovviamente la casa è infestata e si ritroveranno in un vortice di violenza, terrore e morte.
Non si può quindi fare a meno di chiedersi fin da subito come mai una serie in apparenza così banale possa dirsi riuscita. Forse perché estremizza la banalità al punto di renderla adorabile. È perfettamente cosciente della sua totale mancanza di originalità, seppur solo relativamente al soggetto, e decide quindi di ubriacare lo spettatore con quantità industriali di misteri e sottotrame, sì da renderlo incapace di analizzare con attenzione quanto accade e anzi ben disposto ad accettare qualsiasi idiozia gli si pari davanti.
Quella di "AHS" è infatti la casa più infestata di sempre, probabilmente non si sono mai contate così tante presenze in una sola struttura. Appaiono praticamente ovunque e si portano dietro storie a se stanti che aspettano solo di intrecciarsi, spesso anche grossolanamente, con quelle portate avanti fino a quel momento. Fantasmi di tutte le epoche recenti, dagli anni '20 ad oggi, che convivono con i loro rimorsi, le loro pene e che rivivono sistematicamente i loro errori in un loop comportamentale senza fine. La convivenza, si sa, genera idiosincrasie e affinità, quindi coalizioni; il risultato in questo caso è un calderone irresistibile, dalla trama così intrecciata da far impallidire una qualsiasi soap opera venezuelana: un fantasma dei primi Novecento vuole un bambino e chiede aiuto ad un altro fantasma di qualche decade successiva; altri due, anch'essi di epoche differenti, si lanciano in scenette lesbo; altri ancora sono freschi freschi di giornata. Sono queste solo alcune delle parentesi che si susseguono sullo schermo e si tenga sempre bene a mente che il tutto si intreccia a quanto accade tra i vivi, considerando anche che oltre ai protagonisti ci sono altre simpatiche personalità non morte che ruotano attorno alla casa e che ne conoscono i segreti.
Il numero dei fantasmi all'interno della casa, inoltre, aumenta esponenzialmente perché chiunque muoia al suo interno resta intrappolato tra le sue stanze. Una meraviglia, insomma, che se fosse stata gestita in maniera diversa sarebbe stata inguardabile e degna di ogni offesa conosciuta. Il lavoro di Murphy e Falchuk, produttori esecutivi oltreché ideatori, è quindi davvero notevole. La serie infatti procede sempre sulla linea di confine che separa la riuscita del prodotto dal baratro, ma con una sicurezza tale che sembra essere particolarmente a suo agio nel passeggiare da quelle parti. O meglio, nel correre da quelle parti, dato il ritmo incalzante che detta i tempi di una storia che si evolve in maniera quanto meno allucinata. Solo la prima della doppia puntata incentrata su Halloween, con quel suo crescendo frenetico e fuori di testa vale la stagione.
Si adattano perfettamente regia e montaggio. Lenti movimenti di macchina si alternano in maniera sistematica ad altri decisamente più rapidi, irrinunciabili per il genere raccontato. Insieme ad un montaggio anch'esso frenetico, che infatti ricorre spesso a tagli irregolari, restituisce un linguaggio filmico moderno che si confà particolarmente allo spirito horror-calderoniano di "AHS". Linguaggio peraltro vestito con una fotografia che mostrando un innegabile gusto estetico nel suo tendere al barocco valorizza sensibilmente quelle atmosfere che tanto danno alla serie.
Nell'elogiare gli aspetti positivi di "AHS" non si può non scrivere di personaggi e attori. È infatti il numero elevato degli stessi a permettere di raggiungere quel tratto circense che è poi uno degli aspetti più importanti della serie. Sono tutti ben caratterizzati e riconoscibili, soprattutto quelli morti, e a loro modo affascinanti. Le interpretazioni giocano in questo senso un ruolo fondamentale; alla gran parte degli attori, infatti, non si può obiettare nulla; fanno propri i lineamenti distintivi del loro personaggio e li esaltano nel miglior modo possibile. Su tutti Frances Conroy ("Six Feet Under") e Jessica Lange che offrono prove senza mezzi termini perfette.
Ciononostante con l'andare delle puntate qualcosa inizia a non convincere più come prima. Non si capisce di preciso quando, ma a qualche puntata dal termine "AHS" sembra perdere il suo smalto. Il ritmo cala, la media dei dialoghi anche. I misteri vengono in gran parte svelati e il tutto sembra perdere una delle sue colonne portanti. Il problema va ricercato, tuttavia, solo in parte nella sceneggiatura, che invero continua a proporre sottotrame e personaggi ad un ritmo spaventoso fino al termine; non la si può neanche accusare di essere ricorsa ad un elemento sceneggiaturistico troppo abusato dato che tutta la serie è un cliché. Pur riuscendo comunque a tenere in piedi quel circo al cui interno accade di tutto, smette di affascinare e coinvolgere semplicemente perché dalla stessa ci si aspettava un climax con relativa ascesa che non c'è stato e che avrebbe fatto decollare la serie verso il season finale. A quest'ultimo ci arriva invece trascinandosi, seppur sempre con stile. Se infatti non può dirsi affatto riuscito in termini di coinvolgimento, non gli si può negare una certa coerenza nella sceneggiatura, che si mostra esagerata e spavalda fino al termine, non rinunciando al baraccone né allo sfruttamento degli stereotipi più consolati.
“American Horror Story”. Con un altro titolo probabilmente la si sarebbe criticata più aspramente. Quel “American” è una dichiarazione di intenti fondamentale. È quanto di più americano si possa chiedere, dallo stereotipo all'eccessivo. Il tutto però sfruttato con consapevolezza ed ironia. Prodotto decisamente positivo, insomma, che pur perdendosi palesemente nella parte finale merita senza dubbio la visione. Del resto è tra le meno impegnative di sempre.