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[American] Psycho

Creato il 07 novembre 2013 da Elgraeco @HellGraeco

Ci sono un sacco di problemi più importanti dello Sri Lanka di cui occuparsi.

Ad esempio quali?

Mettere fine all’apartheid, per dirne uno. E rallentare la corsa agli armamenti nucleari. Lo stop al terrorismo e… alla fame nel mondo: dobbiamo procurare cibo e un tetto a chi ne è sprovvisto. Opporci ad ogni forma di discriminazione e promuovere i diritti civili. E far sì che le donne godano di uguali diritti. Dobbiamo incoraggiare un ritorno a quelli che sono i valori morali della tradizione. Ma, cosa ancora più importante, noi dobbiamo promuovere un generale impegno sociale, redimere dal materialismo imperante le giovani generazioni. (Patrick Bateman)

Christian Bale e Chloe Sevigny

Christian Bale e Chloe Sevigny

Gran discorso, non trovate?
Tutto giusto, tutto perfetto, moralmente sacrosanto.
Ma c’è qualcosa che non va. Perché, a fare questo ragionamento, nell’anno 2000, è Patrick Bateman (Christian Bale) in American Psycho.
Ovvero un serial killer.
Ancora più inquietante se si pensa che questi temi, così vitali oggi sulle livide bacheche dei social network, Bret Easton Ellis li prendeva per il culo già nel lontano 1991, anno di pubblicazione dell’omonimo romanzo.
Inquietante non perché li pronunci un serial killer, per quanto immaginario, ma perché, dal ’91 (ma anche da prima), la finta coscienza sociale, con la quale atteggiarsi in pubblico, e in realtà continuare a non fare un cazzo di niente in termini pratici, non è cambiata nemmeno nei problemi da risolvere, quelli per i quali ci piace avere scrupoli di coscienza, e così dormire la notte.

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Bret Easton Ellis l’aveva capito già allora, che per molta, tantissima gente contava più l’atteggio che la vera azione, e già allora aveva dato una risposta che sa di contrappasso dantesco: un discorso stracolmo di senso civico fatto da chi senso civico non ne ha, Patrick Bateman, che anzi cerca la propria dimensione oggettivando il mondo, usando letteralmente la gente che lo circonda come egli usa gli attrezzi coi quali ammazza le sue vittime.
Però, ehi, non è solo un pazzo assassino, è prima di tutto apparenza, per quanto vuota. Ma l’essere vuoto non è evidente, perché tutto viene nascosto dalla sua perfezione. Alto, bello, figo, in forma, ricco, elegante. Chi ha bisogno d’altro?
Bateman sa farti una tesi sull’arte dei Genesis e delle loro canzoni, incantarti con panegirici di due ore e, allo stesso tempo, darti un colpo di ascia e dividerti il cranio in due, perché magari ha notato che il tuo biglietto da visita, a caratteri d’oro, è più figo del suo.
E poi, si permette il lusso di concionare in pubblico e esprimere parole potenti come quelle citate, che lo fanno apparire un uomo sensibile, attento ai problemi del mondo, un filantropo. Il fatto che poi ci venga mostrato che nasconde una testa in un sacchetto di plastica nel frigo di casa è, come dire, l’atto che sublima la commedia dell’assurdo. La perfezione artistica della presa in giro.

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L’ho rivisto ieri, American Psycho (insieme a un altro film del quale parleremo nei prossimi giorni). Lessi il libro a suo tempo.
E posso dire di averlo capito appieno solo ieri sera, sia il libro che il film, il vero significato del secondo sta tutto in quella frase lassù: la falsa coscienza sociale dell’uomo inutile.
Uomo che si sforza di apparire perfetto agli occhi di tutti, sia fisicamente che socialmente; l’inferno che ha dentro non importa, primo perché lui stesso non ci crede all’inferno, secondo perché riguarda solo quei poveretti che per qualche ragione, incocceranno col signor Bateman di turno, e ci resteranno sotto.

Orrore è rendersi conto che più di vent’anni dopo, quel vuoto così magistralmente tratteggiato da Ellis e un po’ meno magistralmente (per ovvie ragioni, perché il romanzo è quanto di più allucinante si sia mai letto in fatto di perversione e violenze) da Mary Harron è sempre là. Intorno a noi. Non ha nemmeno avuto bisogno di mascherarsi tanto.
Ha solo messo via il walkman preferendo cuffie più grandi e lettori con più gigabyte. La fame di soldi e potere è sempre la stessa, rimodernata di anno in anno come gli abiti degli stilisti costosi, di sfilata in sfilata.
Detergere i pori della pelle, applicare maschere esfolianti sul viso, lavarsi con prodotti costosissimi, prenotare al ristorante più figo della città e pensare al pacchetto Fisher, ad accumulare sempre più soldi perché la gente ti veda vincente. E non avere altri argomenti di cui discutere se non quelli più popolari, che mostrano la tua sensibilità sociale, verso posti lontani, che nemmeno si conoscono, quando magari invece il dramma è dietro casa e quello no, pur vedendolo, fa troppo schifo per occuparsene direttamente, meglio continuare a sparare cazzate sui social network.
A PatricK Bateman mancava il social network. Altrimenti l’avrebbe fatto pure lui.

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Ecco, certi film o romanzi, bisogna aspettare vent’anni per apprezzarli appieno, per capirli e rendersi conto di trovarsi esattamente nella stessa società di Patrick Bateman, che allora ci sembrava una sorta di iperbole, un’esagerazione, soprattutto nello scetticismo della parte finale, quando nessuno gli crede pur davanti alla confessione di aver ammazzato un sacco di gente, perché nessuno l’ha mai conosciuto veramente, Patrick, se non per la nullità che è sempre stato.
Allora ci sembrava assurdo che nessuno ricordasse il suo nome. Che potesse esistere un essere così vuoto come lui.
Oggi, personalmente, ritengo American Psycho un ritratto fedele di una parte dell’umanità attuale.
E sì, c’è da avere paura.

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