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American Psycho

Creato il 25 aprile 2015 da Fabio Buccolini

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Siamo negli anni ’80, siamo a Wall Street, Patick Bateman è uno yuppie che dirige una società finanziaria, è ossessionato dall’apparenza ed è un perfezionista meticoloso (avvezzo all’uso di cocaina ogni tanto), ciò lo rende un brillante uomo d’affari nel lavoro, ma nella vita privata rivela la sua natura psicopatica.

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Se diciamo Christian Bale diciamo eccellenza, in ogni film, diciamo garanzia assoluta, e questo caso non fa eccezione, è il protagonista, e come al solito è perfetto.
Questo è uno di quei rari casi in cui il regista è una donna, Mary Harron, canadese, ed è davvero un peccato che ci siano così poche registe nel mondo del cinema, perchè quelle che ci sono hanno saputo appieno far valere il proprio talento (vedi Lina Wertmuller o Kathryn Bigelow).
E’ un film tratto dal controverso (ma notevole) romanzo di Bret Easton Ellis, e liberamente reinterpretato.
Si basa tutto sulla psiche del nostro protagonista, che come già accennato sopra è ossessionato dall’estetica e dal perfezionismo, per lui ogni cosa è una gara, dal vestito firmato, al corpo curato, alla by EnormouSales"> by EnormouSales"> by EnormouSales"> by EnormouSales">prenotazione

American Psycho
in un locale di lusso, perfino a chi ha il biglietto da visita più bello; è l’ambizione che regge la sua esistenza, ma del resto, non è forse la stessa ambizione una follia? E’ così, non c’è nessun limite, nessun traguardo, raggiunto un punto si punta a un punto più alto, è una direzione che prosegue all’infinito.
Nel film già si percepisce all’inizio la sua vena di follia, quando in discoteca inizia a dire alla barista (che non può sentirlo) di volerla fare a pezzi e farsi un bagno nel suo sangue.
Poi ben presto la follia si materializza, quando per strada ammazza un barbone (insieme al suo cane), reo di essere un peso per la civiltà, un rifiuto della società.
C’è una cerchia di presunti “amici” tra i suoi colleghi di lavoro, con i quali esce, mentre altri non lo considerano nemmeno, credendo anche che si chiami con un nome diverso (puntualmente lo scambiano per un altro, che lavora sempre lì).
Uno di quelli che più odia è Paul Allen (Jared Leto) il quale riesce sempre ad avere un tavolo nel miglior locale di New York, il quale ha un biglietto da visita migliore del suo, il quale ha anche un appartamento migliore del suo, così decide di ucciderlo, proprio nel suo stesso appartamento, dopo una serata passata a bere; quindi dopo averlo eliminato nasconde il cadavere nello sgabuzzino e sparge la voce che Allen ha lasciato New York per andare a Londra.
Successivamente invita la sua segretaria a uscire, la fa entrare a casa sua, e anche in questo caso l’intenzione è sempre la stessa, ma si ferma improvvisamente, convenendo entrambi che la ragazza dovrebbe tornare a casa (anche in vista di tutti gli strani comportamenti ossessivo-compulsivi che lui aveva manifestato fino a quel momento).

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Intanto il detective Donald Kimball (Willem Dafoe) è sulle tracce di Paul Allen, e interroga Bateman, in quanto suo collega di lavoro, e da qui inizia la paranoia di essere arrestato.
Comincia ad andare con le prostitute, che capiscono subito che c’è qualcosa che non va in lui, nei suoi strani comportamenti, nei giochi sadomaso che fa fare loro, ma non le uccide la prima volta, le uccide la volta dopo, quando, nonostante una di esse sia restia a voler risalire in macchina con lui, dopo i segni che gli aveva lasciato sul corpo, si lascia convincere, e porta tutte nell’appartamento di Paul Allen (che ormai è morto); una la uccide durante un rapporto, l’altra la insegue per i corridoi del palazzo, con una motosega, e la uccide per le scale.
Ogni corpo di ogni vittima sarà fatto a pezzi, e i pezzi messi nel congelatore.

Col passare del tempo il detective è sempre più insistente, e sembra sospettare di lui, ma non è chiaro ancora di cosa.
La pazzia si impadronisce sempre di più della sua psiche, è sempre più squilibrato, parla anche con un bancomat (“Dammi da mangiare un gatto randagio”, frase cult); si porta sempre dietro una pistola ora, spara a una vecchietta, poi a dei poliziotti, e si rifugia in ufficio; sente le sirene della polizia, si sente braccato, così chiama il suo avvocato (l’avvocato della società finanziaria), e al telefono gli confessa tutto, di aver ucciso Paul Allen e altre 50 persone circa, uomini e donne; inaspettatamente però la polizia non entra nel palazzo dove sta, forse non stanno cercando lui.

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Così il giorno dopo, nel locale dove va usualmente con i colleghi, incontra l’avvocato, che sembra divertito dalla sua telefonata, credendo sia stato uno scherzo (non sa neanche che lui sia Patrick Bateman, è uno di quelli che lo ha sempre scambiato per l’altro); man mano che la conversazione tra i due va avanti però, alla luce del tono sempre più serio e disperato di Bateman, l’avvocato lo ferma, e gli dice che lo scherzo non è più divertente: non può aver ucciso Paul Allen, perché lo stesso avvocato aveva pranzato con lui a Londra due volte negli ultimi dieci giorni.

Ed ecco che arriviamo al finale, che ha lasciato disorientate molte persone, le quali dopo averlo visto mi chiedono puntualmente se ci sia una spiegazione: “Ma secondo te è tutto nella sua testa o ha davvero ucciso tutti?”.
Il monologo interiore finale spiega tutto, specialmente l’ultima frase del film: “Questa confessione non ha alcun significato”.
Ha immaginato tutto quanto, nel mentre della confessione finale vediamo anche la sua segretaria che entra nel suo ufficio e sfoglia un’agenda, un’agenda piena di disegni di uomini e donne uccisi e fatti a pezzi: tutto si è materializzato nella sua mente.
Fin dall’inizio di questa recensione mi sono focalizzato sul termine pazzia, Patrick Bateman immagina tutto quanto, Paul Allen era andato davvero a Londra, lasciando il suo appartamento, non era una sua invenzione, e probabilmente non l’aveva detto ai genitori, che chiamando a casa e non sentendolo si sono preoccupati ed hanno ingaggiato un detective, che interroga tutti i colleghi, lui incluso, ma i sospetti su di lui che ha ucciso Allen sono solo dentro la sua testa, e ciò è anche testimoniato dal fatto che alla fine, quando torna nell’appartamento del collega, l’abitazione è priva di ogni mobilio ed è completamente imbiancata a nuovo, con una agente immobiliare e una coppia che la sta visitando per acquistarla (perfino nel ripostiglio, dove teneva il corpo del collega, non c’è nulla, né sangue né nient’altro).
Nella sua testa è anche l’omicidio della prostituta per le scale con la motosega, nonostante le urla di lei e il rumore della motosega nessuno sente nulla, nessuno esce dal proprio appartamento nel palazzo; nella sua testa sono gli omicidi del barbone, delle altre prostitute, della vecchietta, nella sua testa è la sparatoria con i poliziotti, e quando sente le sirene dopo essersi rifugiato in ufficio la polizia non cerca lui, probabilmente è accaduto qualcosa da qualche parte.

“Non ci sono più barriere da attraversare, tutto ciò che ho in comune con l’incontrollabile e la follia, la depravazione e il male, tutte le mutilazioni che ho causato e la mia totale indifferenza verso di esse, tutto questo ora l’ho superato; la mia pena è costante e affilata, e io non spero per nessuno un mondo migliore, anzi, voglio che la mia pena sia inflitta agli altri, voglio che nessuno possa sfuggire…ma anche dopo aver ammesso questo, non c’è catarsi, la mia punizione continua a eludermi, e io non giungo a una più profonda conoscenza di me stesso, nessuna nuova conoscenza si può estrarre dalle mie parole. Questa confessione non ha nessun significato.”

EDOARDO ROMANELLA



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