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American Sniper

Creato il 05 gennaio 2015 da Nehovistecose

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Regia di Clint Eastwood

con Bradley Cooper (Chris Kyle), Sienna Miller (Taya Renae Kyle), Kyle Gallner (Winston), Luke Grimes (Marc Lee), Sam Jaeger (capitano Martens), Jake McDorman (Ryan Job), Cory Hardict (Dandridge), Brian Hallisay (capitano Gillespie), Eric Close (Agente Snead).

PAESE: USA 2014
GENERE: Guerra
DURATA: 132′

Storia – vera – di Chris Kyle, cecchino statunitense che in mille giorni di missione in Iraq uccise 160 persone. Tornato a casa, fu ucciso da un reduce il 2 febbraio del 2013. Aveva 38 anni.

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Nel 2012 la Warner acquistò i diritti dell’autobiografia di Kyle, dal titolo American Sniper – Autobiography of the Most Lethal Sniper in U.S. Military History. Dopo i forfait di David O. Russell e Steven Spielberg, la sceneggiatura (di Jason Hall) arrivò a Eastwood, che accettò di girarlo. L’ex ispettore Callaghan, per sua stessa ammissione, è sempre stato un battitore libero all’interno del panorama politico americano: repubblicano e conservatore su molti temi, ha spesso manifestato idee progressiste su altri (si pensi a film come Million Dollar Baby e Gran Torino), addirittura sostenendo negli anni anche candidati democratici. Ha raccontato la guerra in diversi modi e da diversi punti di vista (addirittura, con Lettere da Iwo Jima, da quello del nemico), sempre comunque condannandola e restituendola nella sua folle inutilità. Anche qui la guerra viene vista come un inutile gioco al massacro, anche qui convivono ammirazione e repulsione per l’ambiente militare, ma stavolta il punto di vista non è condivisibile: Kyle fu un personaggio anomalo, dalla visione del mondo piuttosto “limitata” (o sarebbe meglio dire ingenua: noi buoni, loro cattivi), che meritava, nonostante la scarsa distanza temporale dai fatti e conseguente mancata storicizzazione, un trattamento più complesso di quello che si vede qui.

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Certo, Eastwood non sorvola su questi limiti, ma manca lo sguardo critico, manca un punto di vista distaccato e obbiettivo che ponga le giuste domande sulla figura di Kyle: se Eastwood si limitasse a raccontare, nulla di male, significherebbe che allo spettatore viene lasciata libertà di giudizio sul protagonista; invece partecipa, e lo fa in modo incondivisibile, idolatrando il soldato come salvatore della patria e dispensatore del bene e cercando in ogni sequenza di dipingere il ritratto di un eroe americano. Chiedersi se lo fu davvero sarebbe legittimo, ma qui non accade nulla di simile. La storia presentava moltissimi spunti di riflessione, spunti perfettamente in linea con l’opera eastwoodiana e che erano solo lì da cogliere: la lotta tra Kyle e Mustafa, cecchino iracheno, poteva innescare arguti parallelismi (diversa fazione, stesso mestiere), il fatto che Kyle diventi una leggenda uccidendo poteva generare un dibattito sulla spettacolarizzazione (molto americana) della violenza (avete presente Gli Spietati?), l’omicidio di Kyle è assai emblematico per quanto riguarda la vera utilità della guerra e gli strascichi che essa si porta dietro (la guerra ti segue sempre fino a casa, e il confine tra uccidere e venire ucciso spesso è molto labile anche se non te ne accorgi). Nulla di tutto ciò. Eastwood, addirittura, termina il film con le immagini – vere – del funerale e della gente in strada con le bandiere americane, come a sottolineare che comunque ne valeva la pena, che il mondo ha bisogno di eroi, che la prima cosa è il bene della nazione. Ammesso che la guerra in Iraq fu davvero fatta “per il bene della nazione”.

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Il problema dunque non è la materia, il problema è come la si osserva. E infatti, come in un qualsiasi film di propaganda, i cattivi sono tutti anonimi, selvaggi e senza pietà, i buoni sono cazzuti, e morire da eroi è bello. Stop. A differenza dei film cui Eastwood ci ha abituati negli ultimi anni, qui non sono possibili letture su più livelli: tutto è esattamente come sembra. Lo stesso vale anche per lo stile: non c’è una sola sequenza (se si esclude quella, bellissima, della tempesta di sabbia) che possa essere letta ad un livello un minimo più profondo. Sembra un film girato da un altro, con addirittura alcuni errori pacchiani (c’è un personaggio, il fratello, che viene letteralmente “perso per strada”), che finisce per sottolineare un messaggio alquanto deprecabile: la guerra è oscena, ma in alcuni casi va fatta, e tanto vale farla bene. La parte sui reduci è di maniera, così come di maniera è il clichè del soldato che trascura la famiglia per combattere (ma va detto che Eastwood sottolinea quanto per Kyle uccidere iracheni significasse proteggere sua moglie e i suoi figli, quindi è un concetto che fa parte del personaggio e non del punto di vista). Le scene di battaglia, invece, si fanno man mano ripetitive, e non si distanziano in alcun modo dallo stile frammentario e confuso che va tanto di moda oggi. Da grandissimi fan del vecchio Clint piange il cuore, ma è un film sbagliato, non risolto, un mezzo passo falso.

Voto


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