Magazine Cinema
American sniper: cosa vuol dire essere un "operatore"
Creato il 03 febbraio 2015 da Hovogliadicinemadi Alastair T. Otway
Ennesimo capitolo della sagra Seal. Dopo le uscite di Act of Valor, Zero Dark Thirty e Lone Survivor, la macchina hollywoodiana realizza un altro film sulle forze per operazioni del Naval Special Warafare Command, meglio conosciute come US Navy SEALs. A differenza dei precedenti film testé citati, American Sniper, tenta per la prima volta di spalmare in 130 minuti l'intero arco operativo di un membro di questo elitario corpo, che dall'uccisione di UBL (Usama bin Laden) ha assunto, suo malgrado, gli onori della cronaca anche tra quei più, soprattutto in Italia, che non hanno mai avuto familiarità su questo argomento.
Premetto che non mi occupo di critica cinematografica, ma grazie all'opportunità concessami, vorrei spostare l'attenzione sul tentativo di Eastwood di allestire la capriata del film su ben altri parametri, diversi dal cosiddetto action movie propagandistico che un Act of Valor può rappresentare.
Personalmente mi interessa poco ricordare che al Chief Petty Officer Chris Kyle siano stati confermati 160 abbattimenti a fronte dei 255 probabili. Nella comunità delle forze per operazioni speciali, siano esse statunitensi o britanniche, vi sono operatori, appartenenti alle segrete unità di antiterrorismo (che per tipologia operativa ed elevato addestramento raggiungono anche i quindici assegnamenti operativi in undici/dodici anni di servizio attivo, dalla lunghezza media di nove mesi), che hanno superato di gran lunga le “performance” di Kyle.Ciò che mi preme sottolineare è stato il tentativo di Eastwood di illustrare, oserei direi quasi documentare, come un soldato (ricordo che Chris Kyle non era un soldato, secondo l'accezione comune del termine), riesca ad affrontare l'inevitabile PSTD (Posttraumatic Stress Disorder, cioè “l'insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento”), anche senza quel necessario sostegno che il governo degli Stati Uniti dovrebbe garantire ai militari e alle loro famiglie.
Operazione riuscita a metà. Il “peccato originale”, che ha fatto passare American Sniper come il classico film di guerra – la solita americanata -ove le sue brutalità si ripercuotono nella mente di un soldato, è stata la scelta del soggetto, ed in questo caso il film si è abbastanza distanziato non solo dal libro, ma dalla stessa personalità dell'operatore Kyle.
Non so se avete notato che non identifico mai il protagonista come un soldato, semplicemente per il fatto che Chris Kyle non era un soldato, bensì un membro della comunità delle forze speciali. Per intenderci siamo anni luce distanti dall'addestramento “calci in culo, non fare prigionieri” di Full Metal Jacket che forgiava giovani reclute in nient'altro che automi pronti ad aprire il grilletto al primo rumore, ormai devastati psicologicamente dagli orrori della guerra.
Nella conversazione avvenuta al bar, davanti a qualche cicchetto e ad una birra, Taya Renee (interpretata da una strepitosa Siena Miller) apostrofa Kyle come il solito Seal: “voi Seals siete tutti uguali!”
Ma cosa vuol dire essere un Seal e il regista è riuscito nell'intento di spiegarlo? Il tentativo è risultato fiacco e maldestro.
Essere un Seal o un operatore delle Special Forces non vuol dire essere un “un supereroe” o un “killer pagato per uccidere”, magari dipingendosi la faccia e saltando giù da un aereo. Essere un operatore, ed è questo il termine che si usa per gli appartenenti a queste confraternite, vuol dire essere addestrato ed equipaggiato in modo speciale per portare a termine una vasta gamma di operazioni di eccezionali rilievo. Le unità Seals e SOF sono uno sviluppo naturale della moderna dottrina militare, che tende a creare forze ad hoc per svolgere una sempre più ampia varietà di ruoli e missioni specifici, che forze convenzionali non sarebbero in grado di compiere. E il primo passo per raggiungere l'agognato tridente dei Seals e la qualifica di operatore, è il superamento del BUD/S (Basic Underwater Demolition/Seal Training). Il BUD/S non è altro che il programma di addestramento di 47 settimane, suddiviso in tre fasi, che mira alla scrematura di quei candidati che non hanno la necessaria motivazione per diventare un Seal. Il BUD/S è una serie di mattoni che inizia con la nuotata di cinquanta metri sott'acqua e la Hell Week (cinque giorni di addestramento intensivo ove le ore concesse per il sonno si riducono alle sole quattro giornaliere) per terminare con l'addestramento subacqueo e nella fase finale con quello con armi da fuoco e esplosivi. Si cerca di selezionare quei candidati, tutti volontari, che superino tutte le avversità , sapientemente studiate, volte a far ottenere dalla mente più di quanto si creda possibile. Ma spesso ciò non può bastare. L'ultima parola spetta sempre agli istruttori: essere idoneo fisicamente e aver dato prova di risolutezza non vuol dire essere in grado di prender parte ad un'operazione speciale. Il fine ultimo è quello di formare personale capace di adattarsi a tutto lo spettro delle operazioni belliche e superarne le eventuali insidie. Iminuti che Eastwood dedica ad uno dei più selettivi e infernali regimi di addestramento militare non permettono, successivamente, una migliore comprensione di come Kyle abbia affrontato lo stress del combattimento urbano (la prova peggiore per un operatore) e la successiva sua decisione di continuare a combattere nonostante la precaria relazione con la moglie dovuta proprio ai sui continui assegnamenti.
Nelle scene di combattimento urbano nelle tristemente note città di Falluja e Ramadi (sebbene vi siano stati errori tecnici non corretti, su tutte le incomprensibili telefonate familiari del mezzo del combattimento ravvicinato, nonostante i Seals assolti come consulenti esterni l'abbiano spesso fatto notare) si può evincere come Kyle abbia un' “ecletticità” che solo un determinato addestramento sia fisico che mentale permette di acquisire. I suoi colleghi marines preferiscono rimanere al sicuro che scendere in strada. “Un Seal fa sempre comodo” dice un sottufficiale ad un Chris Kyle intervenuto in appoggio in un contesto di bonifica di edifici, dove la tecnica dei marines, specializzati nella classica guerra convenzionale, risultava carente. Il giorno prima era cecchino, il giorno dopo era un marksmen (soldato addestrato nel tiro di precisione e capace di lavorare in squadra, operante in ambiente “chiuso”).
La guerra che combatte Chris Kyle non è caratterizzata da grandi eserciti schierati, disciplina rigida (“muoviti palla di lardo”) e battaglie tradizionali. La disciplina impartita ad un marine sembrerebbe il miglior modo per fronteggiare il caos scaturitosi dalla deflagrazione di uno scontro a fuoco. Ma la guerra possiede anche un lato nascosto, più cruento, dove è molto sottile la linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è: la guerriglia. L'utilizzo di tattiche “insolite” ha permesso ai Vietcong di avere la meglio sul grande e poco duttile Esercito Americano ed è ciò che i marines hanno pagato in Iraq: un addestramento non consono alla seconda fase della guerra, dove le divisioni regolari di Saddam Hussein sono state sostituite dai guerriglieri di Al Qaeda. Il film mostra, sebbene non colto dalla quasi totalità della critica (troppo focalizzatasi nel criticare, anche giustamente, la sotto trama propagandistica del film) come dopo ore di combattimento un navy seal fosse in grado di “spegnere” il suo istinto e poter “tranquillamente parlare” con un cittadino iracheno rimasto colpevolmente a sorvegliare la sua casa ubicata nella zona rossa. Un marine, dopo ore passate a bonificare edifici pieni zeppi di guerriglieri, non avrebbe avuto la lucidità necessaria a non premere il grilletto difronte ad un gruppo di civili inermi, anche se potenzialmente collaboratori dei terroristi. Un marine non sarebbe stato in grado di allestire un'operazione di antiterrorismo contro il Macellaio, alla vista di un intero deposito di armi custodito nella stessa abitazione dove stava cenando in compagnia del proprietario.
Ed è questa capacità di mantenere un certo grado lucidità in una situazione fortemente a rischio che ha permesso a Chris Kyle di fronteggiare i sintomi del PSTD. Ed in questo caso Bradley Cooper ha interpretato superbamente il Kyle in versione padre di famiglie, marito e veterano. Nella sua performance e nelle sue vicissitudini si evince quanto l'addestramento selettivo e la particolarità del suo ruolo gli hanno permesso di riconciliarsi con la famiglia e di essere uno aiuto concreto per i reduci feriti.Siena Miller ha interpretato la moglie di Kyle con estrema fedeltà, assurgendo come modello standard per tutte le donne che decidono di condividere questa particolare professione dei loro mariti. Diceva Richard Marchinko (ideatore e primo comandante del DEVGRU): “le mogli dei Seals hanno la stessa ferrea mentalità dei loro mariti”.
Non è facile essere la moglie di un operatore delle forze speciali. I “tre pilastri della saggezza” media americana su cui si è fondata l'educazione di Kyle erano e sono: Dio, Patria, Famiglia per ordine di importanza. Quando si entra nella comunità delle forze speciali, Dio rimane solo per chi è un fervente credente, ma la nazione viene sostituita dai Fratelli d'Arme. “Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello”, recitava l'Enrico V di Shakespear. Nella lotta l'essere umano si rivela per quello che è in realtà, emergono i lati migliori quanto quelli peggiori, non ci sono vie di mezzo. Non è possibile mascherare la propria natura, ed è ancora più difficile spiegare ai propri cari cosa sia la guerra, e in quale ruolo la si è combattuta. Nella scena in cui Siena Miller smette di allattare la figlia e piangendo implora al marito di riconsiderare la sua posizione e di confidarle ciò che più lo turba, la non risposta di Cooper/Kyle è il silenzio. Nei tre pilastri del suo credo la famiglia è rimasta al terzo posto. Ma non sa come spiegarlo. La vita operativa di un Seal dura all'incirca 20 anni prima del pensionamento. Il logorio fisico e mentale inizia fin da subito. Ciò che spinge i singoli operatori a continuare il loro servizio prima del ko definitivo è il patto non scritto con i propri colleghi-fratelli. Nel silenzio di Chris Kyle vi è la più loquace delle risposte: “hai ragione amore mio, ma non posso lasciare i miei compagni soli in quell'inferno”. Non si tratta di eroismo, si tratta di amicizia, rispetto e senso del dovere vero il tuo collega, non più verso il tuo Paese. Il concetto astratto di patria si concretizza con l' unità in cui si presta servizio. Uno degli aspetti più cruciali che si manifesta nei reduci è il senso di impotenza e colpa di fronte alla morte di un commilitone. Chris Kyle ha deciso di lasciare il servizio operativo quanto si è reso conto di non essere più in grado di gestire tutto questo stress. Quando si arriva a questo punto è molto facile perdere il controllo di sé in combattimento. Si è arrivati al punto di non ritorno. É il momento di lasciare, non per amore verso tua moglie, ma per rispetto verso le vite sotto il tuo comando. Se le mogli o fidanzate non arrivano a comprendere questa particolare indole del carattere, il divorzio è inevitabile. Nel “famoso trittico” 2004 – 2006, periodo in cui Kyle ha combattuto in Iraq, le forze speciali statunitensi superarono quel limite temporale di dispiegamento operativo (all'incirca 6 mesi) tanto da raggiungere anche i 18/24 mesi di servizio effettivo. In quel lasso di tempo la comunità delle forze speciali statunitensi visse il periodo peggiore: più dell'80% dei divorzi nelle fila delle forze speciali e quasi il 95% in quelle dell'antiterrorismo. In nessuno dei casi un operatore ha lasciato il proprio posto per vestire a tempo pieno il ruolo di padre e marito. Eastwood ha egregiamente riportato questo particolare spaccato della vita di un Seal, sebbene il merito deve essere ascritto più alla performance dei due attori. Il non aver saputo ben raccontare cosa vuol dire essere un seal, prima ancora di filmare le gesta di Kyle, non ha permesso di comprendere allo spettatore, non avvezzo a questa tematiche, il Kyle padre, marito e veterano. E in quest'ultima veste Kyle/Cooper ha cercato di aiutare, proprio grazie alle severe lezioni apprese, tutti quei “semplici” soldati traumatizzati da una guerra e non supportati adeguatamente da un governo troppo preso nel realizzare i propri biechi fini. Laddove il governo americano non è riuscito ad allestire un programma di reinserimento nella vita civile dei propri soldati, i veterani della comunità delle forze speciali, proprio per la particolare la loro forma mentis, hanno sostituito psicologi e psichiatri. Chris Kyle è morto proprio per questo motivo e non per un paradossale scherzo del destino, come molti critici hanno frettolosamente sottolineato. In molte delle recensioni lette, la critica non ha risparmiato sferzate all'atteggiamento del protagonista, incolpando il regista di aver reso il personaggio di Kyle banale e stereotipato. Onestamente i critici non hanno fatto il minimo sforzo per tentar di reperire tutte quelle informazioni che li avrebbero aiutati nella comprensione del film. In conclusione American Sniper è stato un flebile tentativo di illustrare la storia di un soldato d'élite e dei costi che ha pagato in termini di sacrifici per svolgere questo sporco lavoro. Non vi è retorica nazionalistica, quanto l'analisi di un cambiamento radicale di un “protettore”patriottico e volontario americano in un operatore catapultato negli orrori della guerra, a cui ha saputo far fronte grazie a quello strano concetto di fratellanza che lo ha legato ai suoi colleghi. La retorica e propagande semmai, è nelle scene non filmate di un Governo statunitense che glorifica i propri soldati solo a fini elettorali.
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