Chris Kyle è stato un eroe, grazie alla sua incredibile abilità come cecchino nel conflitto iracheno, venne soprannominato “leggenda”. Incarnazione del patriota americano moderno, porta dentro l’animo quei valori che sembravano affievoliti dopo la caduta delle torri gemelle (punto di partenza e ferita ancora aperta per il cinema stelle e strisce). Il suo compito: la difesa dei propri commilitoni. La sua parabola cinematografica: affidata alle sapienti mani di Clint Eastwood. Classico nei toni “American Spider” lo è molto di meno nelle scelte stilistiche e di regia, soprattutto quest’ultima è la parte che più appaga della pellicola. Il cineasta ottantenne non rinuncia alla eleganza formale che da sempre lo contraddistingue, con il suo stile asciutto ridimensiona gli stereotipi di cui la sceneggiatura, tratta dall’autobiografia del protagonista, è intrisa (e parliamo di uno script che nelle mani di un altro regista poteva divenire un erede spirituale di Rambo). Eastwood dirige con perizia minuziosa un film d’azione intriso di tensione, creando scene di guerriglia estremamente dinamiche e affascinanti nella loro semplicità descrittiva, contrapponendole a squarci in cui l’attenzione si sposta fuori dalla battaglia ed entra nel quotidiano di Kyle. Il regista di “Gunny” descrive con occhi disillusi le barbarie della guerra e la completa assenza del sogno americano (cosa a cui ci ha abituati negli ultimi anni), ma senza negare la rinascita della speranza (c’è un domani ancora possibile). Il mondo ha accettato da tempo l’atrocità della guerra (qualunque essa sia) come normalità quotidiana, ed alla fine di tutto, terminati anche i ricordi di questa rimane soltanto il silenzio, quello di una voce che si spegne definitivamente, scatenato dal dolore della perdità. Dotato di una inattacabile eleganza visiva, l’ultima fatica del regista americano non è un semplice “atto dovuto” nei confronti dei fatti accaduti, o il compito eseguito a tavolino per descrivere quanto l’esercito USA sia coraggios. Anzi, “American Sniper” è la visione straziante di una nazione bisognosa di eroi in cui credere, necessita di “cani pastore” in grado di proteggerla dai pericoli presenti dentro e fuori dal suo territorio. La figura del cecchino diviene quasi metafora dell’America in guerra, una potenza che vigila dall’alto per previene conflitti prima che questi vengano esportati dal territorio di origine, addossandosi le responsabilità di eventuali errori. “American Sniper” è anche un film a “frequenza alternata”, che vede nella poco ispirata prova attoriale del suo protagonista il suo più grande limite (Bradley Cooper non ha forse la fisicità necessaria per descrivere appieno Chris Kyle), alla quale va ad aggiungersi una sceneggiatura che offre veramente poco materiale su cui lavorare, oltre al repertorio classico del cinema bellico americano, forgiato su personaggi che hanno ancora il medesimo DNA dai tempi de “Il giorno più lungo”. “American Sniper” è prima di tutto un buon film d’azione, nonchè l’ennesima prova della bravura registica di Eastwood (molto moderno nello stile più di quanto non lo siano colleghi più giovani), in grado di nobilitare una storia “classica”, donandole la personalità necessaria per durare nella mente anche a visione conclusa.
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