La mia ex-migliore amica la conobbi durante il mio primo anno di università.
La nostra amicizia nacque grazie a un rotolo di carta igienica e terminò a causa di una piastra per capelli.
Vivevamo entrambe nello stesso alloggio universitario. Io, 18enne postuma di un’adolescenza all’insegna del dark style. Lei, diciannovenne fighetta ultra viziata. Il diavolo e l’acqua santa, come potevamo non trovarci?
Erano i primi periodi universitari: vita nuova, amici nuovi e una libertà alla quale non si è abituati. Il nostro primo incontro avvenne una sera quando io, novellina all’interno del mio convitto monastico (sì, stavo in collegio di suore), girovagavo alla ricerca di una qualche forma di vita con cui poter fare amicizia. Durante una delle mie “esplorazioni” alla scoperta dei meandri dell’amato collegio, la natura mi ricordò che dovevo fare pipì. Ed ecco arrivare la tragedia! Fra uno spazzolino da denti, un pacco di pasta, un tubetto di dentifricio e un barattolo di nutella, avevo dimenticato un oggetto di fondamentale importanza: La carta igienica. Stavo per rientrare nella mia stanza alla ricerca di una valida alternativa quando nel corridoio la incontrai e, al posto di presentarmi, esordii con un “hai un rotolo di carta igienica? Ho dimenticato di comprarla!” E lei mi sorrise e andò a prendermene uno. Quel rotolo sigillò l’inizio di un’amicizia durata anni e che, fra alti e tantissimi bassi, tutto sommato, rappresenta un bel ricordo della mia vita universitaria.
Lei era (è?) una tipa un po’ strana con evidenti turbe psichiche, eccessivamente gelosa di qualunque cosa o persona le “appartenesse”, paranoica, egocentrica, egoista, un pochetto menefreghista e con un rapporto di odi et amo con la madre capace di far sclerare Gandhi. Ma l’amicizia, si sa, è come l’amore: non la scegli, ti capita e te la prendi.
E così fu.
Lei aveva dei modi di fare un po’ strambi. Capitava che mi chiamava alle tre di notte perché aveva trovato all’interno di un libro una frase così bella, ma così bella, che non poteva aspettare il mattino seguente per leggermela. No! Doveva condividerla subito. E allora, siccome non esisteva facebook con i suoi “miracolosi tag”, dovevo sorbirla dopo essermi presa un super spavento. Stessa cosa capitava quando litigava con la madre- non ho mai capito perché litigassero durante la notte- e mi chiamava in lacrime per sfogarsi.
Leggermente ipocondriaca, credo che si sia autodiagnostica 1001 malattie diverse, penso che qualcuna l’abbia persino scoperta lei. Per ogni sintomo che aveva, dottor Google era sempre presente, pronto a diagnosticarle una morte precoce. E ovviamente, io dovevo stare lì a dirle: “No, ma che c@$$o dici! Guarda che di colera in Italia non ci si ammala più!”.
Era bizzarra. Inutile nascondersi dietro un dito. Un giorno me la ritrovai in camera e mi guardava, muta, con un sorriso da far invidia allo Stregatto. “Tutto ok? È successo qualcosa?– lei continuava a non proferir parola e a fissarmi con il suo sorriso a 56 denti- ehi! Che succede?”, “Ma come– starnazzò dopo interminabili minuti di silenzio leggermente infastidita- non hai notato che ho sbiancato i denti? Guarda, guarda, guarda!”. Ho sempre supposto che quel dentista l’avesse fregata, ma vabbè.
I veri problemi nacquero nel momento in cui subentrarono nelle nostre vite i nostri (ex) ragazzi. Il mio la odiava. Litigammo infinite volte a causa sua e a nulla servivano i miei tentavi di riappacificazione: “ Dai Amore, il fatto che voglia farmi conoscere altri ragazzi sperando che mi innamori di uno di loro e ti lasci, non vuol dire che ti odia!” (Sì, faceva anche questo!). Il suo invece era eccessivamente geloso: un pomeriggio, con altre amiche, scoprimmo che lei aveva lasciato il telefono sopra una mensola, in modo da non destare sospetti, con il fidanzato all’altro capo che ascoltava le nostre conversazioni poiché convinto che parlassimo di “maschi”. Si sorbì una buona oretta di racconti riguardanti il ciclo mestruale e farmaci per lenire i dolori.
Gatto con gli stivali
Durante la sessione degli esami, spariva completamente, si perdevano le tracce, non rispondeva neanche ad un messaggio perché lei doveva studiare. Quando poi a studiare erano gli altri ti si piantonava addosso, guardandoti con il suoi occhioni castani alla Gatto con gli stivali, fin quando non le facevi il favore che ti chiedeva o non stavi ad ascoltare la sua super mega avventura della giornata. Il fatto che poi ti raccontasse di come avesse gabbato il controllore nell’autobus con il suo biglietto riutilizzato, scolorito all’interno di una soluzione di acqua e limone scoperta su Youtube è un dettaglio.
Lei era quella che mangiava i ceci crudi dal barattolo perché convinta che fossero cotti; che ti diceva “arrivo fra 5 minuti” e tu, durante quel lasso di tempo, facevi in tempo a mangiare una pizza, imparare una nuova lingua, fare una partita a scacchi e girarti tutti i negozi del corso; che cambiava accento e dialetto in base alla persona che frequentava; che ti costringeva ad uscire con lei facendoti venire i rimorsi per poi scoprire che la sua uscita era finalizzata a controllare il ragazzo che era al pub con gli amici; che si faceva la permanente per poi lisciare lo stesso i capelli poiché riccia si sentiva una zoccola; che si innamorava settimanalmente di un ragazzo diverso e si giustificava dicendo che lei era un animo “bohémienne a tratti artistico” e che quindi era normale innamorarsi con tale frequenza; che quando ti prestava una qualunque cosa, anche se non la usava da anni immemori, il giorno dopo diventava indispensabile e gliela dovevi rendere; che usava l’ammorbidente come detersivo per i piatti perché “tanto è la stessa cosa”; che aveva nella sua stanza le tazze di tutte le ragazze del collegio (e forse pure di qualche suora) perché si seccava a lavarle una volta utilizzate; che anche quando non andava di fretta correva; che far silenzio equivaleva a dirle “sbatti più forte che puoi la porta”; che ti scroccava i soldi della SOS ricarica perché aveva urgentemente bisogno di chiarire con il fidanzato e non sapeva dove andare a ricaricare; che organizzò la festa del suo compleanno con più di 20 persone ma comprò dolci per tre.
Lei era tutte queste cose e anche altro, ma nonostante le sue stranezze, il suo egocentrismo ed egoismo, io le volevo bene. Con lei ero caduta vittima di una deleteria Sindrome della Croce Rossina, la vedevo innocua, credulona, una bambinona troppo cresciuta e probabilmente lo era.
Maria Jose Crocerossina
Poi, ahimè, una piastra per capelli si mise fra noi e l’amicizia finì.
La piastra in questione era un prestito che mi aveva fatto poiché avevo dimenticato a casa la mia e, come già accennato, dopo neanche qualche ora, iniziò a chiedermi ripetutamente di riaverla indietro. Mi mandò mille messaggi, cercò di telefonarmi, ma io non le risposi. Dormivo. E allora successe il patatrac: venne furente davanti la porta della mia stanza e si mise a sbattere ripetutamente contro la porta. Litigammo e la piastra provò l’ebbrezza del volo. Da quel giorno non ci parlammo più. Credo che per le nostre coinquiline la fine della nostra amicizia fu una benedizione: non c’erano più quelle due che cantavano in cucina a squarcia gola o che la notte rimanevano davanti la tv a ridere fino a tardi. Il collegio ne guadagnò di pace e noi diventammo reciprocamente invisibili.
Nonostante tutte le cose raccontante di questa eccentrica donzella, rimane comunque un bel ricordo e credo che diventerebbe ancora più bello se trovasse il modo di farmi riavere il mio dvd originale in edizione speciale di Jack lo Squartatore che le prestai.
Tratto da una storia vera a metà. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.