Diavolo d’uno Shakespeare! E d’un Amleto! Non contenti d’aver realizzato in modo così definitivo e plateale il teatro nel teatro, nel pieno delle sue funzioni catartiche, decidono pure d’inventarsi il regista moderno.
Amleto si sovrappone al capocomico della compagnia di attori girovaghi e impartisce disposizioni che paiono uscite dalla bocca di Stanislavskij! La misura, prima di tutto, la cura del particolare. Non la boriosa e plateale plasticità dell’istrione, ma un gesto vero, netto, armonico.
Così la battuta, vissuta, modulata, senza spolmonamenti, senza eccessi. E quanto sapore di “come se”, di psicotecnica stanislavskijana in quel “sta in voi trovare e rendere una misura che le dia grazia”! Non più l’imitazione pedissequa, didascalica, ma una mimesi assoluta, da raggiungere inabissandosi nella propria anima.
Shakespeare, nostro contemporaneo, ha fondato il teatro di ricerca, spingendosi ben oltre Stanislavskij, fino alla crudeltà e all’altrove artaudiano e all’essenzialità mistica e autosacrificale di Grotowski.