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“Amleto” William Shakespeare

Da Lielarousse

lottatore - Schiele
Chi è Ecuba per lui, o lui per lei,
per piangerla in quel modo? E che farebbe,
lui, con le mie ragioni, e con in bocca
le battute di ciò che provo io?
Bagnerebbe di lacrime la scena,
strapperebbe  le orecchie con dei gridi
che cadrebbero giù come fendenti
a inorridire i giusti, a dare orrore
di se stessi ai colpevoli, a confondere
i poveri ignoranti, a gettar tutte
le facoltà degli occhi e delle orecchie,
nello stupore e nella confusione.
E io, povero, tardo, opaco, triste
Giovannino dei sogni, io inetto a agire,
non ho battute! – no, non per un re
di cui la vita e la prosperità
fu fatta a brani. Sono dunque un vile?
E chi mi insulta? Chi mi rompe il collo?
Chi mi strappa la barba, e me la sbatte
in faccia? Chi mi tira il naso? Chi
sostiene che io mento per la gola
e più giù, nei polmoni – chi fa questo?
Dio! Se lo accetterei! Il fatto è
che ho cuore di colomba, e non ho il fiele
che fa amaro il soffrire.
Altrimenti, a quest’ora avrei ingrassato
legioni di avvoltoi di tutti i cieli
col carname di questo miserabile.
Maledetto, schifoso puttaniere!
Impudente, vigliacco, ripugnante,
volgare puttaniere!

Il mio spettro può essere anche il diavolo,
a cui piace truccarsi, sì, e forse,
potente come è lui sulle nature
fragili e malinconiche, m’inganna
per dannarmi.



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