Ti è così difficile capire (con tutti quei comandi e le diverse possibilità di lavaggio che ci sono) in quale delle tre vaschette devi mettere il detersivo in polvere e il liquido dell’ammorbidente che vorresti tanto spegnerti, accasciarti su te stesso.
Ti rendi conto di avere ancora tanto da imparare e allora pensi a quando davanti a lei ti sentivi un piccolo Dio solo perché potevi smontare e rimontare un computer.
In quei momenti pensi a quanto tua madre ti faceva sorridere quando guardava con umiltà la sua lavatrice (“il turbinio della centrifuga”) e tu allora ti gonfiavi il petto con tutte le tue schede in giro per la tua stanza.
Ti sentivi intelligente a farti vedere davanti al tuo computer e sorridevi sempre del suo stupore contenuto davanti alla tua scienza che ora vedi sprofondare davanti alle manopole di quella strana macchina con l’oblò.
Ti è chiaro ora come una semplice lavatrice sia riuscita a renderti la misura esatta della tua ignoranza e del tuo orgoglio. Capisci che tua madre di quella lavatrice sapeva tutto e tu non immagini nemmeno l’esistenza del prelavaggio e delle diverse velocità di centrifuga.
Rivedi allora il giorno in cui quattro anni prima tu e tua madre la scegliete insieme quella modesta macchina e ti pare di sentirla ancora, piccola e bellissima, aggrappata al tuo braccio, che ti stringe mentre la guardate esposta nel grande centro commerciale pieno di luci.
La luce prima di Emanuele Tonon è un libro molto difficile da riassumere e da raccontare (lo ha scritto anche Antonio Moresco in una lettera personale all’autore) che turba profondamente soprattutto per il suo ritmo che sembra quello di un mantra o di una preghiera.
E’ la terza parte del cosiddetto romanzo “trinitario” dello scrittore friulano ed è un lungo addio (che vuole essere allo stesso tempo requiem e inno alla gioia) frutto di un’urgenza consegnata alla letteratura (che probabilmente ha salvato l’autore da un dolore insostenibile), un testo che può arrivare a tutti perché scritto in una lingua fortemente poetica che avvinghia il lettore e non lo lascia indifferente forse perché s’imprime nella mente.
Colpisce questa figura di piccola grande mamma che, partita dal sud, continua a lavorare fino alla morte con grandissimo coraggio. Colpisce questo amore adorante di un figlio verso la propria madre. Uno smisurato dolore sempre sul punto di spezzare ogni misura. Una voce lacerata da un profondo senso di colpa così ricco di tenerezza e rispetto. Un elevato e mirabile strazio lirico in cui le parole escono come se volessero salvarsi da un incendio scoppiato da qualche parte nell’intimo.