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Amore, non amore

Da Faustotazzi
Amore, non amore
Succede tutto al semaforo. Succede sempre al semaforo che arriva l'illuminazione. Magari bella, come quando incontri qualcuno che attraversa le strisce pedonali dall'altra parte della strada, e te ne innamori. Magari meno, come quando capisci, in quel preciso attimo in cui attraversi la strada, mentre guardi a destra che le macchine non arrivino e poi a sinistra, dove ti resta solo un viale alberato e la metropolitana sopraelevata con la tour Eiffel sullo sfondo. Ecco, allora, lì, proprio in quel momento, con una gamba davanti all'altra che se il mondo ti vedesse sembreresti i Beatles sulla copertina di Abbey Road, proprio in quel momento realizzi che non la ami.
E non solo realizzi che non la ami ma ne capisci anche il perchè. Tutto li, tutto insieme, tutto in un infinitesimale brevissimo istante, quello stesso preciso in tutto diventa chiaro. Non la ami, per il semplice motivo per cui ti sei improvvisamente reso conto che il fatto che tu la ami è solamente quello che si aspetatno gli altri, i tuoi amici, i conoscenti, i tuoi lettori. Tutti si aspettano che tu la ami, perchè è talmente bella, così carina, tanto interessante, assolutamente intelligente che nessuno si aspetta che si possa non amarla. Non avrebbe senso, non esisterebbe spiegazione. E' una donna giovane, decisamente bella, con i capelli lisci e biondi, alta, magra, dalle gambe lunghe e un gran sedere. Una donna che sa come muoversi, come guardarti, come sorridere con la testa leggermente inclinata. Sa come camminare lungo interi corridoi di generi maschili che si congelano al suo passaggio, che sa stare a una cena, a un ricevimento, a una serata tra amici, a una mostra d'arte. Una donna che li sa intrattenere brillantemente che si discuta lavoro, si parli d'amicizia, con pensieri leggeri e meditazioni profonde. Una donna piena di amiche, e di amici. Che conosce il mondo e i suoi variegati abitanti, che sa reggere una coppa di champagne, affettare un maigret de canard, portarsi elegantemente alla bocca elegantemente una tartina col fois gras, assaporare concentrata e sorridente un cognac d'annata. Una donna che sa ballare come una ballerina, sa sedersi accavallando le gambe lunghe come le attrici, che vola sui tacchi alti come un'indossatrice. Una donna con una patente, una donna con una laurea, una donna con un contratto, una donna con gran lavoro. Una con cui partire in vacanza, con cui chiudersi in casa, una femmina che sa sorridere seducente, sa fingere di arrabbiarsi, santa madre dei tuoi figli quando è in società e in cucina, erotica e provocante in camera da letto e anche in un discreto numero di altri posti della vostra perversa immaginazione. Ecco, una donna così, è inconcepibile che non la si ami.
Non si può, è rigorosamente vietato non amarla. Come non si può non innamorarsi di Notre Dame, non trovate tutti voi adorabili quegli artisti di strada sul ponte dell'Ile de la Cité? Non è un capolavoro l'Arc de Triomphe? E gli Champs Elysees? Non si può non restare impressionati dal Louvre, non perdersi romanticamente nei giardini delle Tuileries, non rimanere sopraffatti dalla bellezza maestosa dell'obelisco in Place de la Concorde. Non si passa senza degnare di uno sguardo la Tour Eiffel, l'Esplanade du Trocaderò, i giardini del Luxembourg, non si ignorano le strette stradine della Rive Gauche, le brasserie storiche di Saint Germain che odorano ancora di Scott Fitzgerald e di papà Hemingway, di Sartre e di contestazione. Non si può non amare la perfezione di Place Vendome, i negozi di lusso di Sant-Honoré: Fauchon, Hediard, i croissants de La Durée, i macarons di Pierre Hermes. Il pane di Poilane, la cucina di Reblochon, l'ambiente del Buddha Bar, i teatri, i cinema, il Moulin Rouge, le femmine del Lido. Non è adorabile perdersi tra gli impressionisti a Quai d'Orsay? E quanto è elegante il ponte Alexandre III, quanto romantica la scalinata di Montmartre, quanto poetico il muro dell'amore. Quanto sono distinti i palazzi Hausmanniani, con i loro soffitti altissimi e quelle finestre senza tende che sembrano illuminate apposta perchè noi poveri, di fuori, si possa guardarci dentro. Col naso insù, la sera. Però a me non interessano. Lo devo dire, quindi lo devo scrivere: io questa Parigi non la amo.
Pensavo di amarla. Ma non la amo. O forse in effetti la amavo, l'ho veramente amata. Ma ora non la amo più. La amavo davvero quando ero più acerbo, più piccolo, più lontano, più incompleto. Quando sapevo bene cosa si doveva amare, ne avevo perfettamente in testa il profilo, la lista dettagliata delle caratteristiche della donna da amare. E lei, in effetti, tutte queste caratteristiche le ha. La amavo quando la leggevo nei libri, la guardavo nei film, ed ero convinto che prima o poi si deve pur incontrare la donna ideale, che arriva fino in fondo alla lista spuntantole tutte, caratteristica dopo caratteristica. Dicevo che Parigi è il mio posto nel mondo e ci credevo veramente, dal profondo. Poi ho capito.
E' cominciato tutto quando sono arrivato e ho deciso di prendere casa nel quindicesimo. Sembrava la scelta più razionale: il posto ideale a metà strada tra il centro e il lavoro. Sulla rive gauche che amo, a due passi da Saint Germain, abbastanza da arrivarci senza troppa fatica a piedi, e contemporanemente nella giusta posizione per poter uscire dalla città senza dover avere eccessivamente a che fare con il traffico idrofobo del mattino. Invece avrei dovuto subito diffidare, avrei dovuto capirlo quando ho incontrato i tifosi del Tolosa al bar all'angolo e quel il tizio col cazzo di fuori che pisciava in mezzo alla strada alle otto di mattina. Mi avrebbo dovuto indurre in sospetto il sorriso dedicato quel mattino al barbone che aveva dormito sulle grate della metropolitana sotto la neve. Mi doveva far pensare il fatto che anzichè fare due passi verso il centro mi ritrovavo nella casa tra gli alberi, incantato dai giochi che la luce del tardo pomeriggio proietta tra le foglie e sul muro. Dovevo diffidare delle circostanze che mi trovavano a fare jogging verso il parco Suzanne Lenglen, giù per la circonvallazione, all'Acquaboulevard, i fatti chiari per cui anzichè passare i pomeriggi a Square du Vert Galant in cima al Pont Neuf mi lasciavo affascinare dalle chiatte che scaricavano il cemento dalle parti delle vecchie Regies Renault, verso Boulogne. Che percorrevo strade con palazzi senza storia a Issy, che sospiravo alle villette piccolo borghesi e ai condomini in collina a Camart, che trascuravo la torre Eiffel e mi mettevo a fotografare le bottiglie di birra abbandonate alla stazione di Montparnasse, le gru del cantiere del ministero della difesa a Porte de Versailles, la stella e la mezzaluna della moschea di Parigi, gli affiches dei film alle fermate dei bus in periferia e disegni col gesso dii bambini sui marciapiedi del metrò di Duroc. Che senso aveva il fatto mi infilavo regolarmente a mangiare in periferia, in posti come l'Afaria in rue Desnouettes o il Roseval che sta in fondo a Belleville in una piazzetta che in teoria ci arriveresti solo se sei costretto a cercare un farmaco rarissimo in un giorno in cui tutte le farmacie del centro sono chiuse. Che mi sono innamorato dei dolci shawarma ricchi e caldi di quel buco sporco e libanese del Maw'ade, proprio in fondo a rue de Vaugirard, dove la strada più lunga della città arriva finalmente a sfociare sulla tangenziale. Che il mio posto del cuore fosse Pietro, con la sua pizza da piccola catena nemmeno troppo appariscente, che rimanessi affascinato dai cimeli e dal sole tra le vetrate del ritorante nello stadio di Issy o dalla Guinguette che sta appena dopo il Chemin de Vignes. Non era equivoco il fatto che avessi passato ferragosto all'Ikea di Rungis, che avessi celebrato l'estate tra i salici della Vallée aux Loups e l'arrivo della primavera vagabondando per la foresta di Fontainebleau? Ma soprattutto mi avrebbe dovuto far pensare il fatto che non conoscevo il novantanovepercento dei posti, degli eventi e delle persone che mi citavano gli altri italiani a Parigi. Io invece mi ero stampato in mente, senza nemmeno capirne bene il perchè, il titolo del film De l'autre coté du Periph.
Così insomma ho capito che non la amo. O che la amo, o entrambe le cose contemporaneamente, fa lo stesso Io che, superbo, pensavo di aver scoperto la montagna invece avevo trovato solo la punta dell'iceberg. E sotto c'era ancora tanto da scoprire, molto da scavare, c'era e c'è ancora tantissimo lavoro da fare per capire fino in fondo che l'altra metà della mia mela ha forme strane, atipiche, diverse, divergenti, diagonali, eccentriche, irregolari e a volte, per alcuni, magari anche brutte. Però ora posso finalmente chiudere gli occhi e capire che la amo e come la amo, che sono libero di amarla per per le ragioni più disparate e diverse. La amo per i suoi difetti, per le sue debolezze, per i momenti in cui diventa difficile da sopportare, per le volte che vorrebbe fare ma non riesce e per le volte che io vorrei fare ma non riesco e allora lei mi aiuta. Non la amo per tutte quelle cose giustamente meravigliose che gli altri dicono di lei. Quegli altri, che in fondo sono solo turisti che rimangono legittimamente abbagliati dalla sua bellezza, affascinati dal suo sorriso immenso e che lì si fermano perchè non hanno più bisogno di cercare. Io invece la amo per tutto quello che gli altri non vedono, per quello che non dicono, la amo per la profondità dei suoi abissi, per tutto quello che di oscuro in vive in lei, per i suoi dettagli fuori posto, per le sue manie inutili, per le pieghe spaventose che prendono i suoi sogni. Ecco, per questo la amo e lo faccio ogni giorno di più, perchè ogni nuovo giorno lei è diversa,  perchè ogni giorno non è uguale e ogni giorno mi sorprende. La amo perchè è imperfetta, perchè nemmeno lei si rende conto quanto sia perfetta. La amo perchè è bella, la amo perchè sogna, la amo perchè è vera.

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