Una piccola raccolta di sette racconti di lunghezza variabile, che l'autore ceco Milan Kundera compose “con maggiore divertimento, con maggiore piacere” di ogni sua altra opera.
L'opera si propone bene anche al lettore che non ha familiarità con Kundera, poiché conserva in una misurata via di mezzo i tratti del suo pensiero filosofico nella scorrevolezza del racconto breve, evitando eccessivi tecnicismi della prosa filosofica più avanzata e la longevità del romanzo.
Com'è già auspicabile dal titolo, i personaggi di queste sette vicende, vivranno esperienze al limite del paradosso esistenziale: la freccia di cupido sembra non presentarsi mai senza compagnia alle porte dei cuori dei protagonisti. Per Kundera, il compagno ideale sembra proprio il misticismo, che si rivelerà, nel corso della narrazione, diversamente per ogni personaggio.
Al pari dell'antico dio greco, nell'opera l'amore non è venerato, ma semplicemente considerato come una forza motrice imprescindibile: qui l'amore non vince niente, semmai muove e cambia le sorti dei malcapitati di turno, a volte regalando loro anche preziose rivelazioni.
Nel primo racconto “Nessuno riderà”, la voce narrante racconta in prima persona della sua relazione con una ragazza ventenne, Klàra, e dei suoi rapporti con il signor Záturecký. I rapporti professionali con l'uomo sono fondati sullo scherzo e su false promesse, così come quelli con Klàra. Non riuscendo ad ironizzare e mentire però su ciò che ama maggiormente, cioè l'arte, il protagonista verrà persino giudicato da una commissione per valutare la sua idoneità a risiedere nel suo appartamento, e la sua relazione con klàra ne risulterà compromessa.
In “La mela d'oro dell'eterno desiderio” il narratore racconta le sue avventure con lo stimato amico Martin, dei loro tentativi di sedurre le ragazze per la strada. Pur reputando i giudizi dell'amico sulle donne espressi come dalla natura stessa, il protagonista non riesce a perdonargli il fatto che Martin non voglia mai concludere con nessuna di esse, in realtà perchè felicemente sposato. Rileva in Martin il desiderio di cacciare le donne, a prescindere da esse, come atto fine a se stesso, chiamandolo “cavaliere della necessità”. La loro amicizia è tenuta poi salda dal protagonista paragonando una ragazza immaginaria alla moglie di Martin, Antonietta, unico oggetto del desiderio reale dell'uomo.
Ne “Il falso autostop” una giovane coppia, in viaggio con l'auto, affronta un discorso sulla loro relazione. La gelosia dà il via ad un gioco di ruolo, in cui non sono presenti i segni che indicano la finzione. Questo fa in modo che entrambi perdano la loro identità, confondendo il rispettivo partner con la maschera che utilizzava, entrando così in uno specifico personaggio, vicendevolmente, come in un gioco di specchi. Il tutto si inoltrerà fino ai loro rapporti più intimi.
“Il simposio” è un racconto diviso in cinque atti. In una stanza di ospedale, durante il turno di notte, troviamo il primario e la dottoressa sua amante, il dottor Havel, l'infermiera Elisabet e il giovane studente di medicina Flajsman. Si discorre dell'amore in termine di libertà, responsabilità dell'individuo, amore platonico fino a quando Elisabet, ubriaca per il vino, tenta il suicidio. Ognuno interpreta il gesto dell'infermiera a suo modo, ed attribuisce ai colleghi un ruolo diverso in termini seduttivi.
Il titolo “Che i vecchi morti cedano il posto ai giovani morti” si riferisce alla frase sentita da una vedova cinquantenne quando la tomba del marito defunto viene spostata. La donna incontrerà in seguito un suo vecchio conoscente, trentacinquenne che aveva fatto delle calvizie un problema esistenziale. L'uomo conquisterà la sua mancata fiamma di una volta proprio ripensando al passato e lei cederà alle avance ricordando la frase del becchino.
In “Il dottor Havel vent'anni dopo” viene ripresentato il personaggio de “Il simposio” , affermato per le sue teorie in campo erotico e privato del fascino che possedeva in passato, a causa della vecchiaia. Le sue pulsioni sembrano diradarsi con gli anni, e il suo valore è dimostrato principalmente dal suo più grande trofeo, la bella e famosa moglie. Un giovane cronista sceglie di seguire i suoi consigli di autorità nel mestiere: paradossalmente, imparerà a scegliere con i propri occhi le donne e a non scordarsi di loro.
“Eduard e Dio” vede il protagonista del titolo, insegnante in una scuola socialista, innamorarsi di una giovane ragazza cattolica, Alice. Pur di conquistarla, finge di credere in Dio. Inizia così a frequentare la chiesa, malvista al tempo in cui è ambientato il racconto; la direttrice lo rimprovera, dopo averlo avvistato in quel luogo. Le proibizioni della religione cattolica portano il ragazzo ad emulare e superare gli eccessi della compagna, fingendo il fanatismo. Perdurando in questo comportamento, vengono presi provvedimenti nei suoi confronti: dovrà sostenere dei colloqui privati con la direttrice, che avrà il compito di rieducarlo. L'insegnante decide allora di sedurre il suo superiore, per avvantaggiarsi nel lavoro, offuscando i principi della donna. Intanto Alice pare apprezzare il suo coraggio, e i due portarono finalmente la relazione ad un livello più terreno. L'annullamento dei valori delle due donne con la menzogna, porterà Eduard verso una forma di nichilismo.
Anche in quest'opera emerge il senso della “poesia antilirica” di Kundera, non potendo definire altrimenti, se non con l'ironico paradosso che ha come fine la conoscenza, l'ambiguità di un sentimento come l'amore.