Pensare di porsi oggettivamente di fronte a qualcosa è un controsenso: per definizione ci interfacciamo alla realtà soggettivamente.
In questo caso volendo dare la mia breve opinione su Amour l'operazione è ancor più difficile perché le vicende che vengono narrate le ho vissute in prima persona.
Non riesco nemmeno a dire se ci troviamo di fronte ad un capolavoro, un buon film o una paraculata perché le emozioni si mischiano ai ricordi e con essi si sovrappongono e si amplificano.
Georges (Jean-Louis Trintignant) una mattina trova la moglie Anne ( Emmanuelle Riva) con lo sguardo assente (lo vediamo sul cartellone qui di fianco) è il primo effetto di un ictus.
Quando diciamo "noi" pensiamo soprattutto alla nostra coscienza spesso scordandoci quanto invece quel noi sia fatto di carne, ossa, nervi.
Quando quella materia fragile ci tradisce non possiamo far altro che osservare la caduta della nostra dignità e metterci al servizio del bisogno di vivere,sopravvivere ed infine semplicemente esistere.
Anne peggiora lentamente. All'inizio rassicura il marito, scherza amaramente sul suo oroscopo, sul futuro.
Poi perde la capacità di mangiare da sola, di muoversi, di parlare. Vive la malattia con forza finché può, finché di lei, esternamente, non resterà che un corpo da nutrire.
In qualche modo però la comunicazione non si è del tutto interrotta e riesce ad esprimere a Georges l'unico desiderio possibile.
Si chiama Amour e l'Amore è Pietà, com-passione, condivisione di un destino.
Già dalla prima scena ( la conclusione è mostrata all'inizio del film) sappiamo come finirà..
Haneke, austriaco dall'aspetto glaciale, come da dietro uno specchio riprende immobile più le situazioni che gli eventi. Il risultato è qualcosa che ha del documentaristico per il realismo ma che conserva tutta la crudezza rivelatrice dell'Arte.