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Stabilità, ecco cosa serviva al Palermo. Quella composta da Zenga e Zamparini, evidentemente, non era la coppia più adatta a garantirne. E allora, visti gli scarsi risultati ottenuti dal suo Palermo sotto la guida dell'Uomo Ragno, il presidentissimo ha deciso di metter mano al portafogli ed ingaggiare Delio Rossi: da lì in poi, i rosanero hanno imboccato la retta via, quella che conduce al quarto posto. Scopriamo come.
HANNO UCCISO L'UOMO RAGNO, CHI SIA STATO...
...si sa: Maurizio Zamparini. Niente mala né pubblicità, come cantava Max Pezzali, ma semplicemente un imprenditore friulano con la passione del calcio ed il vizio di cacciare gli allenatori. Walter Zenga, detto l'Uomo Ragno, è stato l'ultimo di una lunghissima (siamo a 28, e Palermo si augura di dover mettere nuovamente mano al pallottoliere non prima della fine del campionato) serie: esonerato perché dopo il derby pareggiato contro il Catania - ironia della sorte, la squadra da cui Zenga se n'era andato tra le polemiche non più di di sei mesi prima - la parte destra della classifica non pareva idonea alle aspettative di una squadra il cui monte ingaggi, a dispetto della marea di giovani presenti in prima squadra, è il nono della Serie A. E allora via Zenga.
Ma perché questo inatteso fallimento? Squadra di tutto rispetto, giovane ed affamata, con un tecnico esperto ed in gamba. Il carattere, certo, ma i fattori che hanno portato all'esonero dell'ex portierone nerazzurro sono principalmente due: l'instabilità «per scelta» e Fabio Liverani, o per meglio dire la sua assenza.
Partiamo dalla precarietà tattica, fiore all'occhiello del Catania, tallone d'Achille del Palermo. Alle pendici dell'Etna, Zenga aveva autonomamente deciso di non dar nulla per scontato: il modulo, il capitano, cambiavano domenica dopo domenica. La fascia poteva indossarla Alvarez, alla quarta partita in rossazzurro, così come il veterano Stovini o la stella Mascara; il modulo, poi, era un rebus per tutti tranne che per l'allenatore: difesa a tre, a quattro, centravanti all'ala e rombo o duo d'interdittori in seconda linea. A Palermo non ha funzionato, ma non ci voleva un chiromante per rendersene conto in anticipo: fascia di capitano a Miccoli in attesa del ritorno in campo di Liverani, aveva ordinato Zamparini in un'afosa conferenza stampa estiva, e guai a sindacare. La menzione del tardivo rientro in campo di Liverani offre su un piatto d'argento la disamina della situazione rosanero a centrocampo: venuto a mancare il faro del gioco, Liverani per l'appunto, la confusione ha preso il sopravvento. Si è partiti con il rombo, ma senza un preciso vertice basso: Simplicio, Blasi e Migliaccio si sono alternati in quella posizione, non riuscendo però a dare un'dentità precisa alla squadra a causa della differente interpetazione del ruolo data dai tre centrocampisti, chi di rottura, chi d'impostazione. La scintilla pareva essere scoccata contro la Juventus, il 4 ottobre: 3-4-1-2, Migliaccio terzo di sinistra in difesa e Simplicio-Bresciano a centrocampo. Convincente 2-0, poi 2-1 a Livorno e fortunoso 1-0 contro l'Udinese al Barbera: terza piazza, in coabitazione con Fiorentina e Milan, e primi - anche abbastanza convinti, a dire il vero - applausi per Zenga. Il tempo di totalizzare due punti in quattro partite, senza tra l'altro poter fare praticamente mai affidamento su Liverani, e Zamparini dice basta: arriva Delio Rossi.
Della gestione-Zenga non è tutto da buttare, anzi. L'Uomo Ragno ha infatti il grande merito di aver lanciato un suo grande fan: Salvatore Sirigu, detto «Walterino» ai tempi delle giovanili rosanero. Con Walterone in panchina, le prodezze del portiere sardo non sono passate inosservate, e così dopo appena cinque partite Rubinho s'è ritrovato in panchina e Sirigu tra i pali. Il ragazzo, che sulla maglia porta il numero 46 in onore di Valentino Rossi, sta bruciando le tappe: Nazionale già raggiunta, e non è detto che a cavallo tra giugno e luglio Lippi lo lasci libero di godersi delle meritatissime vacanze. Un ringraziamento a Zenga è quantomai dovuto.
ARRIVA ROSSI, TORNA LIVERANI
Sul finire di novembre, la svolta della stagione rosanero. Oltre al cambio d'allenatore, non certo una novità nel capoluogo siciliano, ciò che ha più influito sulla riscossa del Palermo è stato indubbiamente il ritorno in campo di Fabio Liverani. Piede - mancino - pensante del centrocampo, senza di lui i suoi compagni di squadra erano scivolati al dodicesimo posto.
Il ritorno in campo contro il Catania, otto minuti nel derby d'addio di Zenga, quindi un'inopportuna espulsione a tempo scaduto contro il Chievo nel giorno dell'esordio in panchina di Delio Rossi. Brutto avvio, ma era prevedibile: il riento dopo una lesione di legamenti del ginocchio è sempre difficile. Però Liverani ci ha messo meno tempo del previsto, scontando la squalifica contro il Cagliari (2-1 rosanero, primo successo per Rossi) e scendendo in campo dal primo minuto contro il Milan. A San Siro finisce due a zero per gli ospiti: Miccoli gioca a fare il fenomeno, ma se la squadra gira è grazie al regista romano. Il successo contro i rossoneri è la chiave di volta della stagione: da quel 16 dicembre ad oggi il Palermo ha perso appena tre volte, risalendo dalla tredicesima alla quarta posizione.
Liverani, quello lento, vecchio, da rottamare, ha ancora una volta smentito i suoi - purtroppo numerosi - detrattori. Dimostrazione vivente che nel calcio l'importante è far correre la palla e non le gambe, si è dedicato ad un'opera di ristrutturazione totale delle trame di gioco rosanero: senza di lui a centrocampo regnava il caos, da quando è riapparso sul terreno di gioco le sue geometrie sono tornate imprescindibili per la manovra palermitana, dipendente dal proprio metronomo e fiera di esserlo.
COME GIOCA IL PALERMO
Con l'approdo di Delio Rossi in Sicilia, il gioco del Palermo è migliorato in modo sensibile, come testimonia la scalata della classifica. Prima di analizzarlo, è importante sottolineare che Rossi, nonostante in passato sia stato tacciato di essere un arcigno difensivista, è cresciuto alla scuola di Zeman. Niente spregiudicato 4-3-3 con la linea difensiva oltre la metà campo, ma una sua evoluzione più accorta e produttiva: Rossi ha infatti scelto per il suo Palermo un 4-3-1-2 «intelligente», ben conosciuto sia da lui che dalla squadra dato che così si giocava al Barbera con Ballardini, e con questo stesso modulo il tecnico riminese ha guidato la Lazio al successo in Coppa Italia un anno fa.
I princìpi del gioco sono rimasti invariati, com'è naturale che sia, anche grazie alle molte similitudini con la Lazio: Miccoli è una seconda punta tecnica quanto e più di Zarate, tendente all'assist ma che non disdegna mettersi in proprio, come dimostrano le 13 marcature stagionali; Cavani e il suo sostituto Hernandez hanno movenze simili a Rocchi, centravanti che svaria su tutto il fronte offensivo con il taglio come arma segreta; Liverani è un Ledesma mancino con una visione di gioco migliore, più lento ma anche e soprattutto più esperto; il duo di terzini, Cassani-Balzaretti, ha le stesse proprensioni offensive - e le carenze difensive: non bisogna essere omertosi - di Kolarov e Lichtsteiner; in chiusura il portiere, perché Sirigu ha l'età che aveva Muslera la scorsa stagione, e proprio come l'arquero uruguagio ha sottratto il posto al titolare designato (lì Carrizo, qui Rubinho).
La manovra del Palermo, quindi, non è molto dissimile da quella della Lazio targata Rossi. Ad orchestrarla ci pensa il già celebrato Liverani, di cui ho tessuto le lodi poche righe fa. La manovra passa necessariamente dai suoi, sapienti piedi: una volta ricevuto il pallone, preferibilmente fronte alla porta in modo da non doversi girare (la lentezza è un dato di fatto: per rendere al meglio Liverani necessita di palloni giocabili immediatamente, di prima o al massimo ai due tocchi), il regista rosanero smista il gioco sugli esterni per gli accorrenti terzini oppure cerca la verticalizzazione. Spesso è lui a «pulire» il pallone per Pastore, cui spetta il compito d'inventare trenta metri più avanti. Nel caso in cui Liverani sia impossibilitato dal pressing avversario a ricevere il pallone (succede spesso quando l'avversario adotta un centrocampo a rombo speculare a quello palermitano, in cui il trequartista va a far pressione sul regista rosanero sin dall'inizio dell'azione), la scelta ricade sul centrale sinistro di difesa, Cesare Bovo: destro naturale con buona visione di gioco, il cui piede è assai più educato di quello del compagno di reparto Kjær, che basa il proprio gioco sulla notevole fisicità ed il tempismo dell'intervento. Terza opzione: le discese dei terzini, tanto care a Zeman. Con Cassani e Balzaretti, duo che sta vivendo una stagione da incorniciare, la scelta si rivela spesso proficua: dotati entrambi di buona corsa e piedi sufficientemente buoni, il dialogo con i centrocampisti gli consente spesso di proporsi al cross, soprattutto per un Budan che raramente disdegna tali iniziative.
Fin qui abbiamo visto ciò che accade quando al Palermo viene consentito di far partire l'azione dalle retrovie, ma non sempre è così. In particolare contro le grandi, Inter-Juve-Milan-Roma, i rosanero hanno basato i propri successi sulle ripartenze, scindibili in due categorie: originate nella propria metà campo e provocate nella metà campo dell'avversario. Per quanto concerne il primo genere di contropiede, emblematico è il gol segnato a San Siro contro il Milan sul finire del 2009: pallone recuperato da Miccoli (in costante ripiegamento difensivo) a trenta metri dalla porta di Sirigu, e conduzione centrale dell'azione accompagnata da una doppia sovrapposizione sugli esterni, con lo stesso Miccoli a sinistra (cui Pastore recapiterà poi il pallone) e Cavani a destra. Cambiano gli intepreti, ma sostanza è sempre la stessa: un uomo con la palla per vie centrali e due compagni di squadra che si propongono sull'esterno, pronti a tagliare così come a costringere al rinculo la difesa per consentire al portatore di palla di calciare in porta o di servire il centrocampista che arriva a rimorchio.
Alternativa gustosa e spesso più efficace - ma anche rischiosa, se non eseguita a dovere - il pressing alto: poiché Pastore viene spesso esentato dall'azione di pressing al fine di preservarne la freschezza, un incontrista va ad aiutare l'attaccante in fase di raddoppio sul difensore in possesso di palla sulla propria trequarti campo difensiva. Così facendo, il pallone viene recuperato ad una distanza spesso esigua dalla porta avversaria, ed i palloni serviti sul taglio degli attaccanti finiscono quasi sempre per cogliere impreparate le terze linee avversarie. Tale pressing offensivo è favorito dall'atteggiamento difensivo: la linea a quattro (Cassani, Kjær, Bovo e Balzaretti guidano la classifica dei più presenti in questo Palermo 2009-10: la linea difensiva è ben oliata e poco avvezza all'errore), sempre compatta, andando ad accorciare sin quasi sulla linea di centrocampo, costringe la squadra ad alzare il proprio baricentro per far sì che il pressing risulti ancor più efficace. Un ultimo appunto per quanto concerne la fase difensiva, riguardante la marcatura del trequartista avversario: non avendo Liverani le doti adatte per francobollare il «10» di turno, Rossi ha scelto di far uscire un centrale difensivo sul trequartista avversario, facendo scalare il terzino al centro ed imputando al mediano laterale il raddoppio sul trequartista; in tal modo, l'azione può immediatamente ripartire dai piedi Liverani, così da innescare il già illustrato contropiede.
Questa la vivisezione tattica del Palermo di Delio Rossi, cui però è volontariamente sfuggito l'elemento di rottura: Fabrizio Miccoli, con i suoi dribbling e le sue invenzioni, costituisce la variabile impazzita di un sistema di gioco che, proprio grazie al suo estro, rappresenta una delle più belle realtà del calcio italiano.
Antonio Giusto