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Anche i commercianti chiedono il pizzo

Creato il 12 agosto 2013 da Abattoir

di Marco Lo Cascio

Nel 2004 nasce l’associazione Addiopizzo, che riassume i suoi ideali attraverso tale frase: «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità».
Movimento naturalmente lodevole, qualsiasi manifestazione contro la mafia è un bene sempre e comunque, ma il problema che vorrei sollevare pone le radici nella scala gerarchica delle “sottomissioni”. Andrò subito al punto: in un’ipotetica piramide alimentare la mafia mangia il commerciante, ma il commerciante a sua volta mangia il lavoratore e, per quanto ammirevole sia la lotta nei confronti dell’estorsione mafiosa, di contro reputo che ci sia un fastidioso silenzio sulla questione del lavoro nero.

La prospettiva che espongo potrà sembrare troppo generalista, ma sfido chiunque ad immaginare a Palermo un esercizio commerciale nel quale ogni individuo ha TOTALE beneficio dei suoi diritti di lavoratore. Sicuramente le eccezioni ci sono, in particolar modo nella grande distribuzione  (e ovviamente anche nell’ambito del piccolo/medio esercizio commerciale), ma nella maggioranza del contesto economico palermitano (e siciliano) la situazione qual è?

lavoro-nero
Lo sappiamo tutti, il lavoro nero regna sovrano e incontrastato;  la norma è l’illegalità, la non conformità, il disprezzo per ogni forma di diritto del lavoro, e il problema non sta solo nell’ordine giuridico ma anche (e forse soprattutto) in quello umano.
Il punto di partenza per una “sana” collaborazione lavorativa a Palermo, prevede che tu sia considerato uno fra i tanti disperati desiderosi di un impiego ad ogni costo, e di conseguenza dovrai con mestizia accettare di buonissimo grado ogni codice imposto dal signore supremo proprietario del sacro esercizio commerciale. La tipica frase che ho sentito troppe volte è: «Se non ti sta bene, ne trovo altri mille come te».

Il primo comandamento prevede l’assenza di un contratto di lavoro; negli ultimi anni a fronte di un leggero aumento dei controlli da parte della Guardia di Finanza, viene confezionato (quando va bene) un favoloso contrattino nel quale è comunemente riportato un numero di ore esponenzialmente inferiore al reale. In una delle mie occasioni di lavoro firmai un contratto per quattro ore giornaliere, ma ovviamente ne svolgevo “solamente” il triplo, ben dodici ore senza alcuna vera pausa (se non quella necessaria a poter pranzare e cenare). La paga giornaliera era consegnata in contanti senza alcuna corrispondenza con quanto riportato sul contratto, e tutto rigorosamente in nero. I miei diritti erano utopia.
Nel campo delle violazioni sul diritto del lavoro c’è solo l’imbarazzo della scelta: lavoro totalmente in nero, retribuito con un’elemosina, assenza totale di giorni di riposo, mancanza di ferie, periodo di chiusura dell’esercizio commerciale non retribuito, mansioni multiple varie ed eventuali che non competono quasi mai al ruolo per il quale si è stati assunti; mancanza di norme igienico sanitarie, assenza dei minimi presidi medici per il primo soccorso in caso d’incidente sul lavoro.
In una pizzeria palermitana nella quale facevo le consegne a domicilio, gli scooter utilizzati, ad esempio, erano spesso affetti da “gomme lisce” e “frenata insufficiente”; ovviamente nessuno dei mezzi era assicurato, e altrettanto ovviamente lavoravo in nero. La pizzeria si chiama Capricci di gola, ma probabilmente “Capricci di legge” sarebbe più appropriato.

La legge all’interno degli esercizi commerciali palermitani è un orpello decorativo, dove l’unico elemento presente (se vi va bene) è il sopra citato contrattino di facciata, ma in ogni caso i pieni diritti (quella cosa per cui lottarono alcuni disgraziati negli anni ’60 e ’70 in Italia) non sono altro che utopia. Lo Statuto dei Lavoratori, legge n. 300 del 20 maggio 1970, deve ancora arrivare in Sicilia, purtroppo lo sappiamo, la nostra regione è da sempre mal collegata al resto del Paese (attendiamo con ansia il ponte…).

La cosa ulteriormente deliziosa è che il “compagnone” proprietario del negozio, pizzeria, lavanderia, falegnameria, ferramenta ecc… cerca la tua collaborazione, ti rende complice della tua mancanza di diritti e della sua evasione fiscale, ti delizia con strategie “anti controlli”: «Mi raccomando, se arriva la Guardia di Finanza tu lavori quattro ore al giorno, e se insistono, insisti anche tu, sii freddo mi raccomando!»; oppure «Se arriva la Guardia di Finanza tu sei mio cugino e mi stai dando una mano». Riporto solo due esempi personali, la lista delle strategie potrebbe essere parecchio lunga.

L’aspetto (forse il più grave) che in modo più lampante urla la disastrosa condizione del lavoratore medio a Palermo, riguarda l’omertà; sì, proprio lei, quella parola che tanto viene ricondotta alla mafia ed alle sua dinamiche, coinvolge anche il tessuto prettamente socio-economico della città di Palermo.
Ho assistito più volte ad alcune telefonate tra proprietari di esercizi operanti nel campo della ristorazione; lo scopo era quello di avere informazioni su un nuovo assunto, ed oltre a chiedere delle capacità prettamente lavorative, avvenivano accertamenti sul comportamento del soggetto in questione: ovvero il candidato ideale non doveva per alcun motivo aver mai fatto denunce, vertenze, o qualsiasi tipo di azione legale nei confronti del suo titolare.
Io stesso ho pensato più volte d’intraprendere azioni legali nei confronti della persona che mi aveva “assunto” in quel momento, ma poi qualcosa mi bloccava, una codardia che ammetto senza riserve, la paura di essere bollato come un lavoratore sgradito a chi desidera il silenzio. Un lavoratore che denuncia alla Guardia di Finanza le irregolarità, che rivendica i propri diritti, che non accetta le assurde condizioni  imposte dal “cartello” del lavoro palermitano.
Anche questa è omertà, anche questo è un silenzio pesante, che permette a chi offre un posto di lavoro di dettare la SUA legge; tante volte ho immaginato una Palermo utopica nella quale ogni singolo lavoratore non accetti le irregolarità. In tale contesto chi offre lavoro non avrebbe altra scelta che modificare le condizioni proposte, pena il ritrovarsi senza manodopera. Ripeto, una grande utopia.

Questo discorso non è molto vicino al concetto di pizzo? Le dinamiche sono similari, e i ragionamenti affini; anche in questo caso ci vorrebbe una rivoluzione collettiva per modificare le condizioni attuali; come l’associazione Addiopizzo promuove un movimento compatto di tutti i commercianti palermitani contro l’estorsione, ci vorrebbe un movimento altrettanto compatto da parte dei lavoratori contro il “pizzo” imposto dai commercianti.  Addiopizzo esiste, ma l’ipotetico “Addio lavoro nero”, dov’è?
Qui si aprono spunti per discussioni sull’intera struttura sociale della Sicilia, sulle sue ormai risapute contraddizioni, sulle solite questioni mai veramente risolte. Si viene a creare un circolo in cui vi è sempre una vittima che rende vittima qualcun altro.

Si potrebbe giustificare il titolare ammettendo che è sommerso di tasse da pagare (così tentano sempre di giustificarsi), oltre al fatto che probabilmente paga il pizzo, ma a questo punto ogni azione a delinquere sarebbe giustificata, pur di tirare avanti. Non mi sembra una strada sensata, e non credo che si possa trovare giustificazione per la totale noncuranza dei diritti legali ed umani di ogni singolo lavoratore.
Qualcuno potrebbe accusarmi di inquisire indistintamente un’intera categoria; non escludo che nell’ambito dei piccoli e medi esercizi commerciali vi siano delle bellissime eccezioni ma, appunto, sono eccezioni e non mi sembra che stia fantasticando quando affermo che le pessime condizioni di lavoro a Palermo siano un “segreto” pubblico a tutti.

Ripeto il concetto, se la mafia è l’aguzzino del commerciante, il commerciante è l’aguzzino del suo dipendente. Forse dovrebbero circolare per le strade di Palermo manifesti con tale scritta: «Un intero popolo che si piega al lavoro nero, è un popolo senza dignità».


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