di M. Dolores Cabras
Era lo scorso 16 giugno quando il premier mongolo Sukhbaatar Batbold, nella suaprima visita ufficiale a Pechino, ha sottoscritto insieme al suo omologo cinese Wen Jiabao una dichiarazione di impegno a consolidare le relazioni bilaterali, accrescendo la comunicazione politica e rafforzando la fiducia reciproca.
Il rapporto di good-neighbor friendshipcostruito fino a quel momento non soddisfava pienamente le ambiziose aspirazioni geopolitiche, così Ulan Bator e Pechino hanno cercato di trasformare l’amicizia di “buon vicinato” in un vero e proprio parternariato strategico.La cooperazione politica, volta alla prosperità comune e al coordinamento e supporto vicendevole negli affari regionali e internazionali, è solo la punta dell’iceberg dello sforzo condiviso da entrambi i governi per creare un nuovo credibile fronte unito nell’arena asiatica, capace di neutralizzare le controversie interstatali ed erigere un diverso “ordine razionale internazionale politico ed economico”.Tuttavia, il nucleo sostanziale della nuova simmetria di intenti tra i due Paesi è la cooperazione economica, volta prioritariamente alla creazione di una zona di libero scambio, allo sfruttamento delle risorse naturali e alla realizzazione di infrastrutture che agevolino l’interazione e la comunicazione strategica.Importanza geopolitica del limes sino-mongolo
Mongolia: la miniera a cielo aperto di Pechino
Con la firma di un accordo di risoluzione delle dispute di confine sino-mongole nel novembre del 1988, si è tenuta a battesimo una nuova stagione per i rapporti tra i due Paesi vicini, volta ad anteporre la cooperazione alla competizione e a neutralizzare l’ascendente di Mosca sulla Mongolia, fino ad allora considerata alla stregua di uno Stato satellite sovietico.Tuttavia, il caposaldo del parternariato strategico è il Trattato di amicizia e cooperazione stipulato nel 1994, che assicura sia a Pechino che a Ulan Bator il rispetto dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza reciproca.L’accordo sino-mongolo non solo è stato firmato allo scopo di salvaguardare la coesistenza pacifica ma anche per frenare l’influenza statunitense e giapponese sull’Asia nord-orientale e limitare la loro lunga sequela di scambi commerciali operati con la Mongolia.Il volume degli scambi bilaterali sino-mongoli nel 2009 si attestava intorno ai 2,4 miliardi di dollari e ora la tendenza è in netta crescita. Dal 1998 la Cina è il più grande investitore nel Paese e il suo primo partner commerciale: il 60% degli investimenti stranieri in Mongolia sono cinesi e oltre il 70% delle esportazioni mongole sono dirette proprio alla vicina Cina.La Mongolia è ricca di risorse naturali, minerarie ed energetiche, che fanno gola a Pechino, come gli ingenti giacimenti di carbone, ferro e rame (Oyu Tolgoi è la più grande miniera di rame al mondo ancora del tutto inesplorata), di cui la Cina abbisogna per accelerare lo sviluppo industriale e quindi l’economia.Nel 2010 sono state almeno 7 milioni le tonnellate di carbone che i cinesi hanno importato dalle vaste steppe mongole e la China Shenhua Energy Company Limited, la grande società energetica integrata cinese, ha investito un miliardo di dollari nella realizzazione di un impianto per la lavorazione del carbone lungo il confine.La Mongolia ha ormai strappato all’Australia il primato di più importante esportatore di carbone in Cina, il 100% del carbone e del rame estratti finisce nel Paese di Mezzo.Se da una parte per Pechino la special brotherhood con Ulan Bator è necessaria per divenire una grande potenza, per assicurarsi lo sfruttamento esclusivo delle risorse energetiche, il controllo della frontiera e allontanare il rischio di minacce esterne, dall’altra per Ulan Bator il riavvicinamento con Pechino gli consente di acquisire maggiore peso politico nell’arena regionale, di divenire un supporterirrinunciabile per i cinesi, tale da sperare di poterporre sul tavolo delle trattative nuove e vantaggiose condizioni di gioco dirette a sviluppare la credibilità politica e l’economia del Paese.In definitiva, la Mongolia è di nuovo alla conquista di un posto al sole e non sembra aver perso lo spirito di grandezza del vecchio grande impero mongolo né l’ambizione e l’audacia del suo più famoso condottiero, il temerario Temujin.* M. Dolores Cabras è Dottoressa in Relazioni Internazionali (Università di Firenze)Justin Li, Chinese Investment in Mongolia, in: http://www.eastasiaforum.org/2011/02/02/chinese-investment-in-mongolia-an-uneasy-courtship-between-goliath-and-david/Xinhua, Senior CPC official pledges closer tieswith Mongolian political party, in: http://news.xinhuanet.com/english2010/china/2011-11/28/c_131275048.htmXinhua, China, Mongolia vow to further promoteties, in: http://news.xinhuanet.com/english2010/china/2011-09/13/c_131136639.htmXinhua, China, Mongolian economies are highlycomplementary: vice-president, in: http://news.xinhuanet.com/english2010/china/2011-09/02/c_131094807.htmXinhua, China, Mongolia upgrade ties tostrategic partnership, in: http://news.xinhuanet.com/english2010/china/2011-06/17/c_13935555.htmChinadaily, China-Mongolia relations, in: http://www.chinadaily.com.cn/china/2010wentour/2010-05/27/content_9899648.htmAlicia Campi, Sino-Mongolian relations fromBeijing’s viewpoint, China Brief Vol. 5, in: http://www.jamestown.org/single/?no_cache=1&tx_ttnews%5Btt_news%5D=3854