Giorgio Gaber, cantautore milanese, scomparso nel 2003, era divenuto famoso negli anni ’50, ’60 con brani come “Porta Romana”, “Torpedo blu”, “Il Riccardo” e molti altri successi.
Negli anni ’70 si rimette radicalmente in discussione, rifiuta l’industria discografica e si dedica al teatro.
I suoi spettacoli hanno satirizzato sul costume e la società italiana con un innovativo punto di incontro tra canzoni e monologhi, tra momenti umoristici e riflessioni anche amare.
Nel 1974, Gaber realizzò una delle sue maggiore piece teatrali “Anche per oggi non si vola”, spettacolo in cui venivano affrontate ed analizzate le paure, le ansie e le malattie della società moderna dell’epoca.
Società che, secondo Gaber, schiaccia le persone, tenta di omologarle per poterle meglio controllare.
L’uomo per Gaber deve quindi riuscire a riappropriarsi della propria identità (“Angeleri Giuseppe”), ritrovare la propria semplicità (“Leggerezza” e “Ma dove l’ho messa?”), semplicità che permette di vedere cose che l’intelligenza non riesce a comprendere (“Giotto da Bondone”).
Nello spettacolo c’è anche un forte accento alla politica come “La peste”, un feroce atto di accusa sulle complicità tra organi dello Stato e stragi di stampo fascista, e “La realtà è un uccello” in cui critica la sinistra incapace di capire e vedere i cambiamenti del mondo.
Ma a Gaber interessa parlare soprattutto delle persone, dei rapporti umani e sottolinea quindi la necessità di riaffermare l’importanza del singolo individuo (“Chiedo scusa se parlo di Maria”), che può trovare solo nel confronto con gli altri la propria dimensione e la propria libertà (“La strada”).