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Ancora Lettere su Jacopo Ortis

Creato il 23 novembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il novembre 23, 2011 | LETTERATURA | Autore: Mario Turco

Ancora Lettere su Jacopo Ortis

Il recensore garantisce che questo epistolario intrecciato con nodo capestro, come si vedrà, con “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, è tratto da una storia vera.

27 settembre

“Ortis c’est moi” è l’epitaffio che campeggia sulla sua tomba. E dietro la maschera del citazionismo rabberciato, solo io intravedo il nesso sensato che unisce il preclaro motto di Luigi XIV, Napoleone, Foscolo, Ortis e il suicidio del nostro amico. Oh, Teresa, che ricordi serbi della lettura che io, tu e Lorenzo facemmo al liceo di “Ultime lettere di Jacopo Ortis”? Quella lettura che con inopinata arguzia definisti “una e trina”? Due decadi di dolore hanno nel frattempo attraversato le nostre vite, e Lorenzo appena un mese fa ha deciso di darsi la morte. All’ombra del cipresso che torreggia sulla sua lapide ho tracciato nella nuda terra con virginali dita queste parole: “La sua fossa è il solo palmo di terra ch’io degni di chiamar mio”.

28 settembre

«Sono certi uomini che hanno bisogno della morte perchè non sanno assuefarsi a’ delitti de’ tristi, ne alla pusillanimità degli uomini buoni». Rileggo “Ultime lettere di Jacopo Ortis” cercando liquide risposte al suicidio di Lorenzo. Come ha fatto egli a non accorgersi della frattura tra arte e vita, a cedere all’istinto ortisiano che non solo il Foscolo, ma tutti noi, in un periodo della nostra esistenza, abbiamo provato? Non poteva Lorenzo, così come insegna anche il più becero manuale di letteratura italiana che discetta sulla vita del poeta di Zante, stemperare la sua violenta passionalità accettando la più mite fase di un Didimo Chierico qualunque?

30 settembre

Ricordi, mia dolce Teresa, ricordi lo stillicidio di lacrime che nel romanzo Jacopo mesceva quotidianamente per la donna amata, promessa sposa al mediocre Odoardo? A me sembrava che egli, nonostante gli aulici proclami, fosse un pavido giovane rinchiusosi letterariamente nel ruolo del fidanzato impossibile. Lorenzo non mi perdonava questa grossolanità di vedute, e si alterava quando proponevo la rottura delle convenzioni sociali, piuttosto che un passivo adeguamento ad esse. Jacopo era un ribelle politico ma non d’amore; un eroe tragico ma non di movimento, a cui l’esilio da sé e per sé pareva la soluzione più comoda per non dover lottare con gli altri. La consapevolezza materialistica dell’universo aveva probabilmente esacerbato una pregressa sensibilità. «Tutte le nazioni hanno la loro età. Oggi sono tiranne, per maturare la propria schiavitù di domani e quei che pagavano dianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e fuoco. La Terra è una foresta di belve» – scriveva Jacopo. Reminiscenze hobbesiane, pur di non fuggire con Teresa.

4 ottobre

Ieri, al vespro, mi è giunta la tua lettera, Teresa, e nell’aprirla con l’anacronistico tagliacarte che Lorenzo mi regalò cinque compleanni fa, mi sono inavvertitamente graffiato un dito. Il copioso sangue che ne è fuoriuscito si è sparso purtroppo sulla tua missiva e l’ha resa quasi illeggibile. Ho salvato solo due stralci, che ho riconosciuto come estratti dal romanzo di Foscolo. Il primo era: «Che s’io dovessi far sempre la guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con me stesso in eterna guerra, e senza pro». L’altro diceva: «E se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo fedele». Perché me li hai riportati Teresa? Pensi che si confacciano all’indomita indole di Lorenzo? Il suo cuore ha allora fagocitato il resto del corpo! Lo stesso cuore cannibale del fu Jacopo Ortis. Entrambi non hanno saputo emendare le loro passioni, il compromesso come il più terribile degli anatemi. Jacopo non era coerente né con il suo sentimentalismo né con il suo nichilismo. Si è suicidato e ha rinunciato a perseguire ciò che il suo cuore gli comandava, la doppia liberazione di Teresa e della patria. Entrambe sono invece rimaste vedove e del suo amore e del suo ingegno, senza nemmeno un tentativo di rivoluzione. Del Romanticismo Foscolo non poteva anche precorrere il titanismo? Jacopo è uno sconfitto, ma non pienamente romantico, bensì pienamente inutile. Ripulito dagli echi alfieriani e tragici, dai colloqui con il vegliardo Parini, io vedo l’esistenza di un inetto novecentesco, travolto dall’assurdo meccanicismo della vita.

9 ottobre

Piove. Il fantasma di Lorenzo perseguita le mie notti come una venefica ossessione dell’anima, come un patologico senso di colpa. Non sono riuscito a salvarlo, così come Lorenzo e la madre non seppero fare con il loro Jacopo. E come avrebbero potuto i suoi cari, se egli si era già condannato a un nichilismo inconsolabile, se a sprazzi aveva la disperazione di scrivere: «Nel non rincrescere a sè, sta quel po’ di felicità che l’uomo può sperar su la terra». O quel tristissimo compendio della vita umana, spietatamente racchiuso così: «Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro, ecco la vita». Jacopo era già morto dopo la pace di Campoformio, e la storia di Teresa è stata la sua tomba. L’amore verso gli uomini e verso una donna si è rivelato una chimera, una fragilissima teca di cristallo infranta dal tempo, cieco ed eterno devastatore di tutto lo scibile umano. Nemmeno fuggire è possibile, in una Natura indifferente alle vicende umane dei grandi, figurarsi a quelle di Jacopo e Lorenzo. «Ma, per me, temo che la Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo dell’incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio che ci fa reputare l’universo creato solo per noi, e noi solo degni e capaci di dar leggi al creato». Cosa credeva quell’illuso di Jacopo prima della raccolta epistolare dei suoi pensieri? Che il mondo esistesse per la sua felicità? Accidenti imperfettissimi in un pianeta del Caso, noi siamo. Tutto il resto è menzogna.

16 ottobre

Di frammenti è fatto il cosmo, di parti l’unità. Con un aforismo pugnace rispondo alla tua femminea obiezione; che cito l’Ortis con faziosa discrezionalità, dimenticando la bucolica parte centrale del romanzo, quando Jacopo assapora dell’amore la dolcissima utopia. Eufemismi, Teresa, vieppiù mendaci eufemismi! Di’ piuttosto: quando si avvoltolava come un pasciuto maiale nello sterco di un sentimento inventato! Scrivi che con orrore temi io stia scivolando negli stessi patemi che hanno dilaniato l’anima di Lorenzo. Non preoccuparti Teresa, non ho mai anelato così tanto alla vita da togliermela. Ier ieri il dottore ha finalmente diagnosticato il male che mi tormenta da un anno. Lascerò allora che sia l’idropisia ad uccidermi.

Il tuo Ugo



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