Non ho interpretazioni autentiche da fornire sui contenuti del Protocollo d’intesa firmato dall’Assessorato all’Agricoltura e Turismo del Trentino con le Organizzazioni di categoria e quindi sarebbe d’uopo il silenzio. Ma il silenzio (o il refrain) è il compagno che ci ha portato all’empasse di oggi, fra una gattopardata e l’altra. C’è poi un altro buon motivo per parlarne, perché resta la convinzione che chiarimenti ufficiali non ne verranno, come non ne sono venuti dal Presidente (qui) e dal direttore (qui) dell’Istituto del Trentodoc alle domande che avevamo posto, come non ne vengono dal Mella (qui e altrove) che continua imperterrito nell’autocelebrazione e come non ne sono giunti dal Governatore Dellai che pure si era impegnato con TWB per una risposta alla nostra lettera del Venerdì santo (qui).
C’è, anche, la richiesta di molti nostri lettori affinché argomenti ostici come questi, vengano “tradotti” per i non addetti ai lavori, visto che riguardano il presente ed il futuro di un settore portante dell’economia trentina e più in generale di un modello di qualità della vita che riguarda tutti.
Questo protocollo, quindi, pretende di sancire un’intesa fra l’assessorato provinciale competente e le diverse anime del mondo vitivinicolo trentino per il rilancio del settore in crisi da tempo.
Perché una firma nero su bianco? Perché negli ultimi tre anni ogni altro tentativo è andato male ed ora che l’ultimo treno di questo ulteriore anno sta passando (il secondo semestre si perde per ferie, vendemmia e pianificazione se intese serie sono state raggiunte per tempo) ci si affretta a “blindare” un accordo. Per “intesa seria” si intende quella omnicomprensiva dei due pilastri che reggono il settore: la tutela con lo sviluppo della produzione e la valorizzazione dei prodotti (detta anche promozione o genericamente marketing).
Il punto è qui. Ancora una volta il documento è strabico, è figlio degli ideologi del promozionismo, che fanno finta di non sapere che a monte del vino da promuovere c’è il vigneto da adeguare con gli ignari e poco ascoltati viticoltori. O meglio: sanno, ma buttano la croce addosso al Consorzio Vini che, incassata da mesi e per legge la delega sia della tutela che della valorizzazione, non solo non è riuscito ad elaborare un progetto di medio lungo termine, ma nemmeno di aggiornare il suo nome alla luce delle nuove competenze. Il tutto è tanto più strano se si pensa che a guidare l’organismo ci sono ben due avvocati.
Per questo nel protocollo si parla essenzialmente di promozione, quasi dando per scontato che le grane della tutela non lo riguardino e affidando – per giunta – la promozione stessa a Trentino Marketing (soc. di emanazione pubblica), anziché prevedere chiaramente un travaso di competenze al Consorzio obbligandolo a dotarsi dei mezzi necessari allo svolgimento del compito attribuitogli dalla legge.
Nel mentre si auspica che il Consorzio sappia trovare i giusti equilibri fra le sue componenti lo si vincola nella progettazione della promozione (solo questa) all’evidenziazione dei prodotti delle diverse componenti … come dire che questo è vino dei vignaioli, quello delle coop e quell’altro dei commecianti-industriali? A parte l’astrusità di questo assunto, come si fa a non vederne la palese contraddizione con l’imperativo auspicato ed oggi conclamato, dell’unitarietà del settore che logicamente si dovrebbe riconoscere attorno all’unico cognome che tutti abbraccia: Trentino
(e Trento per lo spumante, senza dire che delle povere grappe non si fa verbo).
Alla fine ha ragione Pio Nainer (qui) che oggi sull’Adige dà un eccellente contributo d’idee destinato, temiamo, a svaporarsi come tutto il resto.
Magazine Cucina
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