di Giuseppina D’Amato (continua dalla prima parte).————
Cristina a dieci anni scrisse la sua prima storia. Se la maestra chiedeva: «Cosa vuoi fare da grande?»
Lei rispondeva: «La scrittrice.»
«Perchè?»
«Mi piace raccontare.»
«Scrivere è faticoso. Devi stare seduta tante ore. Non puoi giocare, o uscire con la comitiva.»
«Non importa.» replicava. «Troverò il tempo anche per gli amici.»
«È un lavoro da fame. Le persone non leggono, e gli editori sono in crisi.»
Lei non cambiò idea. Il bisogno di dare voce ai giocattoli impigliati nei capelli della sua Fantasia era imperioso.
A quindici anni uscire con le amiche non bastava, e pomiciare con il ragazzo non era sufficiente a tenere a bada la fantasia. Le ossessioni e le fobie la tormentavano. E le preoccupazioni cosmiche non erano cosa di poco conto. Narrare era la sola salvezza. Cristina scriveva i suoi racconti e li sottoponeva al giudizio delle amiche, da cui pretendeva sincerità totale e critiche impietose.
«Altrimenti siete fuori dalle mie storie!» minacciava.
«Qui la trama non regge.»
«I dialoghi sono lunghi e fanno cagare.»
«Tu parleresti così?»
«Questo personaggio non va bene.»
Imparò così la sua professione.
A diciassette anni, Cristina pensava: “Non sono mica stupidi i lettori. I protagonisti devono amare e soffrire davvero. Le parole, lo stile, la trama, i colpi di scena, il finale sono importanti.”
Giurò di scrivere romanzi belli, in cui l’incipit prometteva: «Ti farò emozionare.»
Le pagine successive erano un crescente coinvolgimento e desiderare un: «E poi? E poi?» sino all’epilogo risolutivo.
————
Featured image, Virginia Woolf in 1927
Magazine Attualità
Ancora su Cristina, ragazza strana, alle prese con il mestiere di scrivere.
Creato il 12 febbraio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornaliPotrebbero interessarti anche :
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