questa convinzione, tutta italiana, per cui i giovani che pascolano per casa ancora a quaranta anni senza un lavoro, vivendo magari ancora della paghetta e che i genitori giustificano perché in fondo in casa sono utili, e poverini non è che non vogliono lavorare, è che proprio non trovano quello che fa per loro,e poi è meglio che stiano in casa piuttosto che in giro per le strade, con quello che si sente oggi.
questo andazzo è veramente allucinante perché alla fine giustifica un atteggiamento disfattista e svogliato da parte di questa futura generazione che sempre meno sente il bisogno di farsi una vita propria di mantenersi e rendersi indipendente.
parlo vi assicuro per esperienza personale. ho amici che a quarant'anni non lavorano e non studiano, vivono in casa, ben felici di farlo, resistenti ad ogni sollecito che li spinga verso una distacco che oramai non considerano più fisiologico.
ho altri amici che hanno messo una vita a laurearsi ( e sono svariati quindi non sentitevi accusati in prima persona) e che una volta ottenuto il tanto agognato pezzo di carta aspettano che il lavoro che piombi addosso per divina provvidenza senza nemmeno immaginare nel frattempo di fare altri lavori che comunque poterebbero soldi alle tasche asfittiche di genitori che però di fronte all'idea che il loro gioiello magari si stanche in qualche impegno non alla sua altezza inorridiscono.
continuo a pensare che ci sia qualcosa che non va.
la mia esperienza personale, che ho già raccontato e che quindi non sto a ripetere era una cosa normale un tempo, e non sto parlando di duecento anni fa ma di venti trenta anni fa, quando i genitori ti buttavano fuori di casa se vedevano che avevi intenzione di fare il nulla facente vita natural durante.
non ci negavano lo studio ma lo studio non era una zona di parcheggio: dopo un paio di anni di inattività o di insuccessi ci si poneva il problema se quella era la strada giusta o no.
ed io sono una privilegiata: mia madre quando provai a dire che avrei voluto interrompere gli studi per cercarmi un lavoro si oppose con tutte le sue forze e mi fece studiare a tutti i costi. ma voleva risultati e se vedeva che andavo male non dava la colpa agli insegnanti ma mi cercava degli aiuti, mi aiutava lei se poteva, mi spronava ad impegnarmi se non vedeva impegno da parte mia.
lo studio era importante, ma era anche un lusso che mi veniva concesso con grande sacrificio e che voleva essere ripagato con dei risultati.
ed alla fine dell'iter, non si aspettava che il lavoro arrivasse dal cielo: tutti facevamo tutto qualunque cosa, dal cucire pantaloni al lavorare saltuariamente al mercato se si trovava, ci si offriva per decorare vetrine, per pulire pavimenti, per fare giardini, qualunque lavoro era onesto e retribuito, quindi era ben accetto.
oggi ho sentito io, con queste inorridite orecchie rispondere ad un padre che offriva al figlio nulla facente un lavoro da cinquanta euro al giorno sono nei festivi " ma no! io il fine settimana me riposo, che devo lavorà proprio in quei giorni??" ed alla richiesta, molto dimessa e timida del padre, sul riposarsi di che visto che non lavorava rispondere con tono sfottente " me devo riposà e basta, che voi me devo diverti io no? dallo a quarcun arto stò lavoro a me non interessa, mica me vojo rovinà r'fine settimana".
voi direte di non fare di tutt'erba un fascio ma io comincio a pensare che la gramigna oramai supera il fieno, e sono tanti quelli che la pensano come quel giovane.
giuro che se non fossi stata immobilizzata dal dolore su una sedia a rotelle quel giorno avrei chiesto io quel lavoro e quando ho riferito la cosa a LUI anche lui ha detto che se lo avesse trovato lo avrebbe accettato comunque il lavoro.
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