di Michele Marsonet. Arriva sempre il momento in cui ti accorgi che il mondo attuale è così diverso da quello della tua gioventù da risultare irriconoscibile. Credo, del resto, che accada a tutti, ed è giusto che sia così. La storia non si ferma mai. Gli scenari mutano in continuazione, e fatti che un tempo si spiegavano da soli ora appaiono irrimediabilmente sepolti nella memoria, ammesso che venga conservata.
Ne ho avuto conferma nel corso di un recente soggiorno all’università di Hanoi, anche se la dizione corretta è “Ha Noi”. Invitato a tenere delle lezioni dopo che due anni orsono ero andato a siglare un accordo di cooperazione tra l’ateneo locale e quello di Genova, sono rientrato con l’impressione netta che la capitale vietnamita abbia cambiato pelle.
In occasione del precedente viaggio avevo notato, più che altro, la diffusione a macchia d’olio dei fast food americani e una progressiva occidentalizzazione dei costumi. Però quello era, per così dire, un soggiorno “istituzionale”, e le opportunità di contatto diretto con i giovani meno frequenti. Questa volta, al contrario, tali opportunità sono cresciute poiché dovevo parlare – in inglese – di un tema assai interessante quale “Globalizzazione e sovranità nazionale”.
Tema, in verità, non solo interessante ma pure “caldo” per i vietnamiti, i quali si trovano a fronteggiare il rampante espansionismo cinese in acque contese e a ridosso del loro confine settentrionale. Direi che nessuno dei giovani che ho incontrato in aula o altrove percepisce più gli Usa come nemici, mentre è diffusa la sensazione che il pericolo vero per il loro Paese sia rappresentato dalla Repubblica Popolare Cinese con i suoi tre miliardi e passa di persone (il Vietnam ne ha 90 milioni circa).
Ed ecco alcune considerazioni sorprendenti ricavate da lezioni e conversazioni private con i giovani studenti. Gli abitanti di Saigon (adesso chiamata Ho Chi Minh City) sono più fortunati di quelli di Hanoi, giacché possono usufruire di un numero più elevato di fast food, e in particolare di McDonald’s. Il luogo ideale in cui vivere, per loro, è proprio l’America, con preferenza per New York. Popolari sono le discoteche di stile occidentale e gradita la tendenza del governo, nominalmente ancora comunista, a espandere l’economia di mercato rispetto a quella statale.
Ma molte cose s’imparano anche guardando la tv che, per molti versi, è simile a quella Usa (e, di riflesso, alla nostra). Fiction e talk show impazzano, sia nella lingua locale sia in inglese perché importati direttamente dagli Stati Uniti. I conduttori delle previsioni meteorologiche adottano gli stessi comportamenti – e persino gli stessi gesti – dei loro omologhi americani, e se volete un panorama non censurato delle notizie internazionali basta sintonizzarsi sul canale della CNN che trasmette liberamente. Idem per i social network come Facebook, proibito in Cina ma non qui.
Quali le conclusioni che si possono trarre da tutto questo? Chi scrive, al culmine della guerra, era studente degli ultimi anni di liceo e dei primi dell’università. Ne conservo un ricordo molto nitido, con le interminabili scene di battaglie e, poi, di quella sorta di “socialismo prussiano” imposto da Hanoi all’intero Paese.
Non resta granché, bisogna ammettere, a parte il mausoleo di Ho Chi Minh, il museo della guerra e i manifesti vecchio stile del Partito comunista che proprio nei giorni della mia permanenza celebrava il suo dodicesimo congresso. I giovani appaiono lontani, proiettati in un mondo diverso e, come mi è accaduto di notare pure a Pechino, manifestano solo noia per i corsi obbligatori di marxismo-leninismo che ogni ateneo deve impartire.
Indubbiamente Ho Chi Minh è ancora amato, ma in quanto padre della patria e alfiere dell’indipendenza nazionale, e non come leader rivoluzionario. A dire il vero, è costante l’impressione che gli studenti non gradiscano affatto parlare della guerra. La considerano un “episodio” ormai lontano, e ora conta di più difendersi dai cinesi che – almeno in teoria – sono vicini dal punto di vista ideologico.
Miracoli, vien fatto di pensare, del celebre “soft power” Usa. Lo stile di vita americano sta prevalendo anche qui senza incontrare eccessivi ostacoli. Disney e CNN si sono rivelati, alla lunga, ben più efficaci dei B-52 e dei marines che non riuscivano mai a riportare vittorie decisive sui Vietcong. Una bella lezione della storia, sulla quale gli stessi americani dovrebbero riflettere a fondo.