Oggi in un grande magazzino, una signora di mezz'età sceglieva anche lei cosa avrebbe letto. Su uno scaffale così piccolo, fai presto a notare quanto sia volubile il bisogno di leggere e delle cose che interessano e delle mille classificazioni cervellotiche, da un romanzetto usa-e-getta alla buona letteratura contemporanea capitata lì per sbaglio, da un'inchiesta a un libro di cucina.
Lei però guardava solo i libri esposti frontalmente, eppure io le avrei voluto proprio indicare Qualcuno con cui correre di David Grossman, era lì, ma di taglio. Stavo proprio per parlare. Poi la discrezione (per fortuna?) ha avuto la meglio. Ho taciuto e ho sopportato con dolore, devo dirlo, un'altra donna che le diceva di guardare sempre tra i best seller, "se sono i più venduti un motivo ci sarà, no?!"
Ci sono periodi come questo. In cui iniziare un altro romanzo, senza le certezze empiriche squadernate sfacciatamente da chi non vuole scegliere o pensare, diventa fonte di preoccupazione: non di iniziarlo, per quello sono bravissimo, dico preoccupazione, in particolare, di non finirlo. Periodi in cui stendi identikit di libri che non conosci o che conosci troppo bene.
Mi metto davanti alla mia libreria, mentre L'enigma di Finkler è ancora qui, proprio sul tavolo dove sta il pc. Sarà un caso, ma non per questione di spazio, non so esattamente dove metterlo. E non so neanche se scegliere un criterio letterario - genere, stile e cose simili - oppure uno che tracci la mia storia di lettura.
Stando così le cose, direi che non è un caso se non riesco a decidere per un libro nuovo. Ma capita solo a me che, in brevi archi temporali, si ripresentano e si scartino da sé sempre gli stessi titoli? E che poi se ne scelgano altri? Diverse emergenze, diverse spinte... e cosa sono i libri?
Ho provato anche a fare a meno dei romanzi. Per un po' ci riesco. Ma bevo la poesia in un sorso, come un uovo crudo e buono, bevo la poesia affannato d'aria e di vita, come una trasfusione. Leggo i saggi con lentezza, pensandoci su. Tornando indietro, tornando avanti. Il tempo dei romanzi è un altro e parla di me, parla di chiunque ne legga.
Un romanzo ti prende il tempo del giorno, gli ridà significato, ti restituisce all'uomo che sei. Un romanzo ti prende il respiro, ti tiene con sé, non lontano dal mondo, è un angolo nel mondo, ma è tutto tuo, con le tue ragioni per stare lì e guardare dove guardi, per alzarti da lì e andare avanti, andare oltre.
Per un po', è quella la tua storia. La porti con te, ti ribelli, stai lì a dire che ne vorresti un'altra, che ci vuole più movimento, più eleganza, più carne, più sangue. Ma poi è lì. Nuovo giro, nuova corsa, hai mille altre possibilità per vivere diversamente, ma essere sempre tu. Hai visto mai un lusso simile?
Ma qual è il nesso tra un cantuccio e l'altro? Quando infine ci si alza e si deve passare per questo tempo senza ritmo del respiro altrui, per queste vite recalcitranti, direi anche riottose a ogni ordine, a ogni spazio confinato, che fai? Come passi al successivo? Saperlo prima, non è un po' come percorrere una strada già vista? Qual è il confine tra chi esplora e chi devia?
Credo sia personale. Ogni lettura, come ogni atto, è un rischio. Almeno, lo è senz'altro se si vuol fare di una lettura un'esperienza. Io non amo i passatempi, mi annoiano, ho fame di vita. Di viverla. Di gustarla poco a poco. Io, che non voglio leggere tutto, che non sono un dotto, che sono un uomo e non so nulla, non voglio sapere nulla che non sia vita? Io che voglio leggere la vita.
Dove trovo uno sconosciuto, un consiglio casuale? La vita che irrompe dove meno te lo aspetti. Un cantuccio tutto per te. Il peggio non sono i libri non letti, ne ho stracolma la casa: il peggio sono i libri non vissuti, i libri dimenticati, che ti hanno dimenticato, che ti trovano uguale agli altri, a quello prima, a quello dopo.
Mi chiamo in raccolta. E penso che magari un libro è una risposta: e di domande, io ne faccio tante.
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